[30/07/2010] News

Chi ha paura della green economy?

LIVORNO. In barba persino ai convinti sostenitori della pedagogia delle catastrofi, dal disastro del Golfo del Messico pare che nessuno abbia tratto uno straccio di lezione. Anzi, come scriveva Umberto Mazzantini su questo giornale qualche giorno fa, si assiste al paradosso che negli Usa a perdere i consensi è il presidente Barack Obama che sta combattendo la battaglia contro la Bp, mentre ne recuperano i repubblicani strenui sostenitori (a colpi di bigliettoni verdi dei lobbysti) del Drill baby drill.

Istantanea che già da sola mostra inesorabilmente come la semplificazione sia mortale nell'analisi dell'uscita dalla crisi ecologica-economica in atto. Tanto più che dall'altra parte dell'Oceano, cioè qui nel nostro Paese, la lettura del disastro è già nella fase del come si possa evitarne di futuri ma in chiave puramente economica. "I tre antidoti di Bp contro il disastro finanziario" è il significativo titolo del pezzo da prima pagina del Sole24Ore a firma Gianfilippo Cuneo. Il disastro è dunque finanziario, e non stupirà i lettori che i tre antidoti non prevedono alcun link con l'impatto ambientale, relegato in fondo come a dire che insomma, ci sta dentro pure questo.

Ma ben più importante è come "limitare l'entità dei danni che l'azienda dovrà risarcire", ovvero: assicurazioni; creazioni di società indipendenti che "in caso di disastro possano anche andare in fallimento senza trascinare la casa madre"; "fare effettuare le attività a rischio catastrofe da società specifiche con una pluralità di azionisti (...)", in modo che in futuro in un caso simile sarebbe più difficile per un'amministrazione "prendersela con gli azionisti ultimi".

A noi pare una lezione per svicolare ai limiti (e forse oltre) la legalità dalla proprie responsabilità e il finale posticcio - per il bene dei clienti, dell'ambiente e anche degli azionisti sarebbe opportuno mettere costantemente in atto degli antidoti e non dare mai per scontato che l'improbabile non si avveri - non fa che peggiorare il giudizio sulla tesi proposta.

Appare evidente che anni di discussioni sul fatto che se metti a rischio sistematicamente le risorse scarse del pianeta ti "seghi il ramo sul quale stai seduto" (nostro vecchio slogan di battaglia) anche dal punto di vista economico, sono andati velocemente nel dimenticatoio. Oppure di fronte alla crisi si pensa - come si è già osservato - che la riconversione ecologica dell'economia si debba mettere da parte. Che siano mere questioni ambientali di cui occuparsi ex post.

Non solo, il nostro governo quando incrocia la "sostenibilità" in tutte le sue forme non trova mai di meglio che mazziarla: vedi manovra taglia parchi; taglia incentivi per le rinnovabili; taglia vincoli per le aziende a scapito sempre e comunque dell'ambiente. Solo alcuni esempi a cui il privato risponde (o meglio segue) a colpi - sempre per dirne una - di news co, vedi Fiat e quelli che le andranno dietro tutti eccitati dalla novità, che permette di saltare a piè pari ogni bega sindacale (leggi contratti nazionali raggiunti col sangue e il sudore dai lavoratori nei decenni passati) e fare insomma quello che si vuole senza "lacci e lacciuoli".

In questo conteso appare quindi una voce fuori dal coro - a cui noi però vogliamo mettere il megafono - quella di Morganti, che sul Corriere della Sera sembra una pasdaran di greenreport che grida: «E se dessimo un senso alla parola ‘sostenibilità'?». Già, quello che andiamo dicendo da quando siamo nati come testata giornalistica individuando proprio nell'orizzonte di un'economia ecologica la strada da seguire attraverso una complessa rivoluzione anche culturale che dia una ‘finalità terrestre' come direbbe Edgard Morin alle generazioni future.

Scrive Morganti che: «Più del 50% della popolazione mondiale vive in metropoli inquinate e congestionate e la tendenza è al peggioramento. C'è ampio spazio per politiche locali di grande impatto, basate sulla riduzione del traffico. Incombono altri drammi come il cambiamento climatico, la disoccupazione strutturale dovuta alla «super-automazione», il controllo delle bolle finanziarie su cui si sta cimentando Obama. Impegnarsi, attraverso le ricerche e la scienza, per una società sostenibile non è forse un grande progetto per il futuro non prossimo? Forse manca la palingenesi della società socialista o di quella liberale, ma i giovani potrebbero ritrovarsi in un impegno di sostenibilità».

Quello che manca, a parer nostro, è una politica coraggiosa che creda così tanto in questa visione da riuscire a coinvolgere nel progetto i giovani. Giovani che, viceversa, nella situazione attuale comprensibilmente fanno una "leggera" fatica a ritrovarsi in alcunché. E non solo i giovani...

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