[17/08/2009] News

Ancora 5 settimane di negoziati e 200 pagine da spulciare in vista del dopo-Kyoto

LIVORNO. Prosegue a tappe serrate la preparazione del vertice di dicembre a Copenhagen dove si dovranno stabilire gli impegni per contrastare i cambiamenti climatici e dare avvio alla fase cosiddetta del Kyoto 2.
La settimana scorsa si sono infatti riuniti a Bonn circa 2400 delegati provenienti da 180 paesi per il 3° turno dei negoziati per tentare di raggiungere un consenso sulla bozza di testo da presentare a Copenhgen.

Ma non sembra molto soddisfatto dei risultati ottenuti Yvo de Boer, segretario esecutivo della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che ha sottolineato la necessità di accelerare i negoziati per ottenere un esito positivo a dicembre.
«Sono stati compiuti progressi in questo incontro, ma abbiamo un testo di oltre 200 pagine ancora molti problemi irrisolti e - ha dichiarato De Boer - appena cinque settimane di negoziati. Se continuiamo a questo ritmo, non ci riusciremo».

Preoccupazioni simili sono state espresse anche da parte del capo della delegazione americana Jonathan Pershing: «se non avremo le azioni e il consenso che abbiamo avuto in precedenza, non raggiungeremo un accordo» ha dichiarato.
Per raggiungere un accordo in dicembre Yvo de Boer ha chiesto una risposta concertata ai cambiamenti climatici, che potrà esserci solo se le «le preoccupazioni dei paesi in via di sviluppo saranno tenute in considerazione» nel corso dei negoziati.
Quindi il nodo appare ancora il rapporto tra gli impegni dei paesi industrializzati e quelli richiesti ai paesi in via di sviluppo.

«Senza una chiara indicazione degli obiettivi dei paesi industrializzati per il 2020- ha sottolineato De Boer - e chiare proposte sulle risorse che verranno impiegate per sostenere i paesi in via di sviluppo per affrontare il cambiamento climatico sarà molto difficile per questi assumere impegni».
«Se i paesi industrializzati si accorderanno per mobilitare finanziamenti sufficienti - ha proseguito De Boer - sono sicuro che i paesi in via di sviluppo riusciranno nell'impegno di promuovere i loro piani e le strategie per ridurre ulteriormente le emissioni».

Anche la Cina, da parte sua, ha invitato i paesi sviluppati a mantenere le loro promesse, in modo che non vi sia una regressione rispetto ai notevoli progressi compiuti negli attuali negoziati sul clima.
«La chiave sta nella negoziazione di azioni reali dei paesi sviluppati - ha detto Yu Qingtai, rappresentante della Cina per i clima negoziati sul clima - Fornire aiuti finanziari e tecnologici da parte dei paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo non è carità, ma è assumersi la propria responsabilità storica».

D'accordo sulla necessità che i paesi industrializzati mantengano i loro impegni sul fronte degli obiettivi da calcolare sulla base delle emissioni procapite e sul fatto che debbano mettere la maggior parte delle risorse per finanziare la decarbonizzazione delle economie emergenti, anche l'ex vice primo ministro britannico John Prescott, che aveva preso parte ai negoziati per il primo protocollo di Kyoto. Se così non fosse il rischio sarebbe che i negoziati di Copenhagen potrebbero fallire.

I paesi in via di sviluppo come la Cina e l'India hanno ribadito che non fisseranno i loro obiettivi di emissione sino a che i paesi sviluppati non si impegneranno a ridurre le loro emissioni del 40% entro il 2020 in base ai livelli del 1990 e ad aumentare i finanziamenti per accelerare l'adozione di tecnologie a bassa emissione di carbonio nella parte di mondo in via di sviluppo. Posizione ribadita anche dal rappresentante indiano Chandrashekhar Dasgupta.

Finora solo l'Unione europea (UE) si è impegnata a ridurre le proprie emissioni del 30% entro il 2020. Mentre negli Stati Uniti d'America, il disegno di legge approvato lo scorso giugno ha fissato un obiettivo del 17% entro il 2020 ma rispetto al livello del 2005 e non del 1990.
E i negoziatori degli Stati Uniti presenti a Bonn hanno respinto qualsiasi accordo a meno che anche altri grandi produttori di emissioni, tra cui la Cina e l'India si impegnino a fare altrettanto.
Quindi non ha tutti i torti Yvo De Boer a ritenere che a Bonn il risultato non sia stato soddisfacente e a temere che se la situazione non si sbloccherà nel corso dei prossimi negoziati, che si terranno a Bangkok il prossimo 28 settembre e il 2 novembre a Barcellona, il vertice di Copenhagen possa rappresentate un nulla di fatto.

La speranza sta allora che nel vertice dei capi di Stato e di governo convocato dal segretariato generale per il prossimo 22 settembre a New York, cui parteciperanno i rappresentanti di 192 stati membri dell'Onu si possa superare l'empasse. Una sorta di prova generale del vertice di Copenhagen in cui sarà fatto l'estremo tentativo di raggiungere un accordo.

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