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[10/08/2010] News
LIVORNO. Lo stato di emergenza dichiarato lunedì intorno a Ozersk, una città degli Urali a 1.500 km ad est di Mosca, dove si trovano la centrale nucleare di Mayak (tristemente nota per uno dei più gravi incidenti atomici della storia sovietico-russa) ed uno dei più grossi centri di stoccaggio e ritrattamento di combustibili nucleari, è l'ennesimo segnale di una situazione che sembra ormai sfuggita da ogni controllo. Quella che stanno combattendo i russi è una guerra di trincea e retrovia, sul pericoloso confine delle trappole nucleari, chimiche e militari di cui prima il regime sovietico e poi le democrazie autoritarie, oligarchiche ed eco-scettiche hanno seminato il più grande Paese del mondo.
Ora si viene a sapere che già dal 6 agosto le autorità locali avevano proibito l'accesso e l'uscita dalle foreste intorno a Mayak, giustificandolo con misure rese necessarie dalla «situazione complicata» nata dagli incendi delle torbiere: «Lo stato di emergenza è stato imposto sul territorio di Ozersk e delle foreste vicine che sono una zona pericolosa per l'incendio». Il centro nucleare di Ozersk è uno dei più importanti della Russia e finanziato direttamente dal governo di Mosca e gestito dall'agenzia nucleare federale Rosatom.
Di fronte a questo immane disastro e a questi pericoli nucleari il potere dell'oligarchia putiniana non trova di meglio che accusare gli altri. Durante una visita sul fronte degli incendi a Iochkar-Ola, la capitale della Repubblica autonoma dei Mari El, il presidente russo Dmitri Medvedev è indignato: «I tentativi di realizzare un capitale politico fustigando la reazione delle autorità russe di fronte agli incendi forestali che devastano il Paese, mancano di dignità. Non è degno farsi una pubblicità politica su un male di cui il potere, soprattutto, non è responsabile». Secondo Medvedev il governo centrale di Mosca non ha nessuna responsabilità perché «Attualmente siamo in presenza di un disastro naturale».
Quello che però il presidente non dice è che è in atto una innaturale strage di innocenti, soprattutto di vecchi che muoiono sfiancati da un caldo mai visto in Russia e dal fumo che soffoca Mosca ed altre città. Il ministero della salute russo non ha trovato di meglio che dirsi perplesso per le cifre che circolano e che vengono da una fonte insospettabile, il sindaco di Mosca Andrei Seltsovski, che ha detto a Ria Novosti che la mortalità nella capitale russa è raddoppiata, con 700 decessi al giorno.
Il diktat di Medvedev non spaventa e non convince Greenpeace Russia che sottolinea in un comunicato: «Il cambiamento climatico che ha provocato una terribile ondata di calore e siccità in Russia è importante ma non l'unico motivo per gli incendi devastanti nelle regioni della Russia centrale». Secondo gli ambientalisti le responsabilità politiche esistono e sono enormi: «Il Codice Forestale emanato da Putin nel 2007 ha abolito il controllo centralizzato degli incendi boschivi che era utilizzato per dare l' allarme quando scoppiavano gli incendi e che contribuiva a combatterli nella fase iniziale».
Fib no al 2007 esisteva la Goslesohrana, un sistema centralizzato di prevenzione e protezione delle foreste russe, composto da circa 70 mila forestali che pattugliavano regolarmente il territorio. Dopo l'adozione del nuovo Codice forestale la Goslesohrana é stata abolita e le sue funzioni sonno state spezzettate tra le autorità regionali e concessionari di autorizzazioni forestali. Secondo Greenpeace «Attualmente in Russia, invece di 70.000 guardie forestali, ci sono 12.000 burocrati forestali che svolgono principalmente lavoro di ufficio».
Il risultato è quello che vediamo oggi intorno alle centrali nucleari circondate dalle fiamme. Infatti il ministero delle situazioni di emergenza (Mes) non è responsabile della lotta agli incendi boschivi, a meno che il fuoco non minacci direttamente gli insediamenti e le installazioni pericolose e comunque il suo personale non ha nessuna esperienza per intervenire sugli incendi delle torbiere che stanno letteralmente oscurando la Russia europea. «I macchinari e gli equipaggiamenti di cui dispone il Mes spesso non possono essere utilizzati nelle attività per combattere gli incendi boschivi - denuncia Greenpeace Russia - Per esempio questo tipo di attrezzature non può transitare sulle strade forestali non asfaltate o non può garantire il pompaggio dell'acqua dalle falde nelle aree dove le fonti idriche si sono in parte seccate. Alla fine l'80% di tutte le persone coinvolte nella lotta contro gli incendi boschivi sono operai forestali le cui forze e possibilità sono quasi esaurite. Molti forestali stanno lavorando solo per senso del dovere, nel bilancio per la lotta antincendio sono stanziati solo 2,2 miliardi di rubli. Ora, con l'aumento vertiginoso degli incendi boschivi, siamo al punto che questo bilancio è sufficiente solo per due giorni. Ma se non c'è denaro non ci sono nemmeno più attrezzature moderne».
In base alla legge di Putin, i concessionari di autorizzazioni forestali sono obbligati ad attuare misure di prevenzione anti-incendio, ma non a combattere il fuoco. Diverse normative regionali prevedono la lotta contro gli incendio come un obbligo per partecipare alle gare di assegnazione per i tagli forestali, ma poi le regioni non sono in grado di svolgere i controlli necessari, non hanno il personale per farlo e spesso esiste una complicità tra potere politico locale e le industrie del legname. Senza fondi e politiche non è possibile formare il personale adatto per prevenire gli incendi e intervenire sul fronte del fuoco.
«Allora, che cosa si dovrebbe fare? - si chiede Greenpeace Russia - Prima di tutto le autorità dovrebbero onestamente ammettere che l'ondata di caldo non l'unica cosa da incolpare per la situazione che stiamo affrontando. Il problema può essere risolto se il governo stabilisce un sistema centralizzato di protezione delle foreste che impieghi non meno di 20.000 persone. Se nulla cambia e se il clima il prossimo anno sarà caldo come ora, incendi boschivi devastanti colpiranno di nuovo la Russia».