[11/08/2010] News
GROSSETO. Il mare è sempre stato considerato -ove più, ove meno- alla stregua di una grande pattumiera e sotto i fondali è stato gettato di tutto. Materiali che ogni tanto il mare ci restituisce o che rimangono sul fondo a suscitare la curiosità dei pesci che spesso - così come altri organismi marini- trasformano questi intrusi in alloggi, nursery o substrati su cui proliferare.
Un fenomeno noto ai subacquei che conoscono bene queste mappe di relitti sommersi che divengono luoghi dove poter ammirare fauna e flora; e che conoscono altrettanto bene i pescatori che sanno che attorno a queste carcasse di varia origine si possono più facilmente riempire le reti, perché sono punti ben popolati dai pesci.
Motivo per cui come sta avvenendo nel golfo della Tailandia, dove si vuole sperimentare l'affondamento di carri armati, vagoni ferroviari dimessi e cassonetti per la raccolta dei rifiuti ormai da rottamare per creare delle barriere di ripopolamento della fauna ittica, anche in Italia si è discusso spesso di creare una sorta di reef artificiale in Adriatico.
Mare piatto e ormai poco interessante, per quanto riguarda il versante nazionale, l'Adriatico è stato infatti oggetto di attenzione per un progetto per la creazione di una vera e propria barriera utilizzando le piattaforme offshore Eni per la trivellazione del gas, ormai in disuso e di cui il mare che lambisce le coste orientali del nostro paese è disseminato.
L'idea che tuttora accoglie consensi ma che non è mai stata realizzata, nasce dal fatto che una di queste piattaforme metanifere, il Paguro, affondata per una esplosione di gas avvenuta nel 1965 di fronte al litorale di Ravenna, è diventata un fiorente luogo di ripopolamento di specie ittiche tipiche di fondali rocciosi oltre ad ospitare varie specie di invertebrati, crostacei, molluschi e via così.
Un'area che presa a tutela da una associazione di amanti del mare, che si chiama appunto Paguro, è diventata prima zona di tutela biologica ed stata inserita quest'anno tra i Sic a mare dalla regione Emilia Romagna.
Bene. Ma da qui ad ipotizzare allora di poter realizzare un reef artificiale attraverso l'affondamento delle piattaforme metanifere (ce ne sono circa 80 e una ventina solo nel tratto tra Comacchio e Rimini) come veniva proposto con una certa enfasi alla fine degli anni 90, e come è riemerso di recente con un progetto presentato prima ad Eni e poi approdato sul tavolo del ministero dell'Ambiente, come sistema di bonifica del mar Adriatico dalla presenza di queste basi off shore, ce ne corre. Intanto perché come fa rilevare correttamente su Repubblica, Mario Sprovieri, ricercatore dell'Istituto per l'ambiente marino del Cnr, queste carcasse che vengono affondate possono contenere sostanze altamente inquinanti e che potrebbero determinare effetti difficilmente ipotizzabili sull'ecosistema in cui vengono immessi.
Così come il fatto che substrati che mimano fondali rocciosi potrebbero, nel caso dell'adriatico, determinare dei disequilibri nell'habitat marino caratterizzato quasi esclusivamente - in particolare nel tratto centrale- da fondali piatti e sabbiosi.
Tra le motivazioni che vengono portate a sostegno di questa proposta una riguardava in particolare la possibilità di innescare un indotto economico di una certa consistenza, ipotizzando la creazione di una rete di diving cui affidare la gestione di questo reef e tra le garanzie per la tutela ambientale, il fatto che prima di poter essere affondate le piattaforme debbano comunque subire un processo di bonifica per toglierne le parti inquinanti.
Se sulla prima è evidente il vantaggio sul fatto che Eni sia disponibile a bonificare queste piattaforme prima di abbandonarle nei fondali adriatici qualche dubbio pare legittimo.
Premesso che comunque Eni è obbligata per legge a smaltire correttamente le strutture che sono servite all'estrazione di idrocarburi e a ripristinare lo stato dei suoli (dei fondali nella fattispecie) il fatto di doverle bonificare toglierebbe molti dei vantaggi economici che un'operazione come questa potrebbe comportare. E comunque le garanzie che non vi sarebbero disequilibri nell'ecosistema marino per l'introduzione di queste isole di ferro non potrebbe certo darle nessuno.