[12/08/2010] News
GROSSETO. Il peggiore degli scenari possibili del dopo Chernobyl si sta drammaticamente avverando. Gli incendi che stanno devastando da settimane la Russia- che rideva dei cambiamenti climatici di cui oggi scopre tutta la drammaticità delle possibili conseguenze - hanno riportato alla luce un problema che per le popolazioni colpite dal fall out della centrale nucleare ucraina esplosa 24 anni fa è purtroppo una condizione quotidiana. La radioattività che si sprigionò allora dal reattore nucleare e che si è riversata in particolare in un'area della Bielorussia al confine con Russia e Ucraina non è scomparsa nel nulla, ma è rimasta invece imprigionata nei terreni e nei rigogliosi boschi di betulle che la caratterizzano. Pronta a tornare in atmosfera a ricreare una nube tossica per la radioattività che si trascina al suo interno e a sconvolgere di nuovo come allora il futuro delle popolazioni che per effetto delle correnti e dei venti potrebbero incrociarla sui propri territori.
«Bisogna spengere in fretta quelle fiamme - ha incitato Aleksej Yablokov, membro dell'accademia delle scienze - il vento può portarle sino a Mosca e avrebbero conseguenze disastrose. Forse persino peggiori di quelle dell'86».
Ma oggi come allora l'approccio da parte di chi ha la responsabilità di ciò che sta accadendo è quello di minimizzare, tranquillizzare, mettere a tacere le informazioni fuori dal coro.
Niet Problema era il leit motiv di 24 anni fa dell'allora comitato centrale dell'Urss; niet problema è quello che dice oggi il presidente Vladimir Putin. Tutto sotto controllo, ripetono le autorità di Briansk, l'area dove stanno andando a fuoco i boschi di betulle carichi di radioattività. Il portavoce del ministero delle situazioni di emergenza, Irina Iégorouchkina, ha dichiarato infatti che gli esperti di Mosca non hanno rilevato nessun aumento del livello di radioattività nella zona di Briansk, regione alla frontiera della Bielorussia e dell'Ucraina che fa parte delle aree più contaminate dall'incidente di Cernobyl.
E sull'assoluta mancanza di rischi ha insistito ieri anche il responsabile del ministero Vladislav Bolov, ribadendo che un controllo delle zone contaminate da Chernobyl, effettuata questa settimana, aveva provato che i fuochi non propagavano alcuna radiazione. Contraddicendo quanto affermato dal ministro delle situazioni di emergenza Sergueï Choïgou che aveva riconosciuto, la settimana scorsa, il pericolo che rappresentavano gli incendi nelle regioni contaminate- che hanno raggiunto circa 4.000 ettari secondo quanto rivelano dal servizio federale russo- e contraddicendo anche quanto asserito da Andrei Sirin, direttore dell'Istituto per le foreste, che dopo le denunce di Greenpeace ha ammesso che «certamente questa regione (parlando di Bryank, ndr), queste foreste necessitano di una particolare protezione dagli incendi perché le fiamme sprigionano la radioattività che poi si può diffondere con il fumo su aree ancora più vaste».
E oltre al problema già serio delle foreste radioattive in fiamme, c'è un'altra preoccupazione altrettanto grave e che allo stesso modo viene taciuta o minimizzata: gli incendi che minacciano le centrali nucleari. Dopo aver faticosamente domato gli incendi che minacciavano il centro nucleare di Sarov, 500 chilometri a est di Mosca, adesso le fiamme stanno lambendo un altro impianto atomico a Snezhinsk, questa volta più lontano, trovandosi a 1.500 chilometri, e sempre nella stessa direzione. E sempre con la stessa entità di rischio.
Ed anche oggi la situazione a Mosca resta sfavorevole, con alti tassi di monossido di carbonio e temperature elevate e un bilancio delle vittime degli incendi che è arrivato a 56 morti. Che si sommano alle oltre 800 persone che hanno dovuto ricorrere a cure mediche e ai 58 ospedalizzati, almeno da quanto si apprende dai bollettini ufficiali. Ma che stando alle testimonianze rilasciate da alcune medici ad agenzie di stampa potrebbero essere molti di più.