[12/08/2010] News
LIVORNO. Probabilmente la caccia è stata notevolmente sottovalutata come una delle principali ragioni del rapido declino degli oranghi. Un nuovo studio pubblicato su PloS One, "Declining orangutan encounter rates from Wallace to the present suggest the species was once more abundant", realizzato da un team internazionale di scienziati, rivela che i collezionisti animali che operano dalla metà del XIX secolo nel Borneo, hanno probabilmente intaccato con una caccia indiscriminata l'intera popolazione, compromettendone le capacità di incontro tra individui e quindi la stessa riproduttività.
Per verificare questa ipotesi i ricercatori hanno tentato di quantificare i dati storici sugli incontri con gli oranghi contenuti nei resoconti di caccia e delle collezioni museali, confrontandoli con studi di settore recenti.
Uno degli autori dello studio, Erik Meijaard, di People and Nature Consulting International in Indonesia, spiega che «Anche dopo aver tenuto conto delle variazioni delle dimensioni e della lunghezza del periodo della caccia e della indagine spedizioni e altre variabili, abbiamo stimato che i livelli quotidiani di incontro con d gli oranghi sono diminuiti da circa sei volte anche in zone dove i disturbi nel bosco sono pochi o niente».
Le possibili cause esaminate per questa rarefazione sono la perdita e il degrado degli habitat, la caccia, le malattie ed anche cambiamenti comportamentali, come ad esempio una maggiore cautela di questi grandi primati in seguito all'aumento della persecuzioni da parte degli uomini.
Un altro autore dello studio, Vincent Nijman della Oxford Brookes university, sottolinea che «Anche se vi sono delle lacune nei dati, dopo aver esaminato diverse possibili spiegazioni, abbiamo concluso che i livelli elevati di caccia sono stati la causa più probabile della riduzione dei tassi di incontro nel corso del tempo. Nonostante la legge li protegga, la caccia agli oranghi avviene ancora e potrebbe aver avuto un impatto più significativo sulle popolazioni selvatiche di quanto si credesse precedentemente», Secondo Meijaard il fenomeno non è nemmeno in diminuzione: «Recenti studi non pubblicati sul Borneo indonesiano suggeriscono che più di 1.000 oranghi sono uccisi ogni anno».
Queste grandi, simpatiche e placide scimmie vengono cacciate sia per mangiarle, sia perché sono considerate dannose dai contadini che invadono le foreste, sia (i giovani) per rifornire il mercato degli animali da compagnia. Una miscela di bisogni primari locali e di nuove mode del lusso planetario che è una vera e propria pozione velenosa per il futuro degli oranghi.
Già nel 2005 il rapporto di Traffic "Hanging in the balance, an assessment of trade in gibbons and orangutan in Kalimantan, Indonesia", diceva che stragrande maggioranza degli orangutang in commercio erano animali giovani e che con tutta probabilità le loro madri erano state uccise dai bracconieri.
Per Nijman «Dobbiamo capire meglio come le popolazioni di oranghi sono colpite dai livelli diversi di pressione venatoria. Infatti, i nostri risultati potrebbero costringerci a ripensare l'intera biologia degli oranghi. Gran parte della nostra attuale comprensione ecologico è forse basata su studi sul campo di animali che vivono ad una densità inferiore a quella che sarebbe imposti con una disponibilità di cibo. Come si comporterebbe questa specie se la loro densità fosse quella naturale che era 5 o 10 volte superiore a quella che osserviamo attualmente?».