[30/08/2010] News
RAVENNA. Come giganteschi iceberg metallici, emergono dall'acqua, nelle giornate più terse, al largo della costa. Sono le cosiddette "isole di ferro", le piattaforme offshore per l'estrazione di idrocarburi in mare. Una fonte di ricchezza inestimabile nel periodo di attività, ammassi ferrosi abbandonati dal momento in cui il giacimento si esaurisce. E a quel punto qual è il loro destino?
La soluzione economicamente più conveniente, ma anche ecologicamente migliore, è una sola: affondarle. Rabbrividiscano pure gli ambientalisti, ragionevolmente "scottati" dal recente disastro ambientale della "marea nera". L'idea, dettagliatamente illustrata a Eni, - liberamente scaricabile dal sito www.lucavignoli.it, parte dalla seguente considerazione: opportunamente bonificate, le piattaforme affondate non inquinano, ma al contrario si trasformano in "hot spots di biodiversità biologica". Tradotto: diventerebbero vere e proprie oasi di ripopolamento marino, al riparo dalle reti dei pescatori e paradiso sommerso per i turisti appassionati sub.
Di piattaforme offshore ce ne sono più di 20 tra Comacchio e Rimini e oltre 80 in tutto l'Adriatico: "Per legge Eni, una volta esaurita la concessione mineraria, è obbligata a bonificare i siti di estrazione ed a smaltire le piattaforme dismesse". E questo al momento significherebbe solo una cosa. Riportarle a terra e smantellarle per inviarne i pezzi al ferrovecchio. Operazione complessa e costosa..
In tanti hanno proposto soluzioni alternative di vario genere: dall'installarvi sopra delle pale eoliche, sino addirittura al costruirvi sopra degli alberghi di lusso.
Soluzioni per niente convenienti e con nessun vantaggio di ritorno per Vignoli che, nel 2006, ha presentato all'Eni un dettagliato progetto di affondamento, arrivato lo scorso ottobre sul tavolo del ministero dell'Ambiente. Un'esperienza già sperimentata con successo negli Stati Uniti, in Australia ed in molti altre nazioni a vocazione marino turistica. [diversi filmati sono disponibili all'indirizzo http://www.youtube.com/user/lucavignoli#grid/user/B8C607FACE130F55 . ]
Ed in Italia non sarebbe nemmeno un'assoluta novità.
In diverse località costiere italiane, a seguito dell'affondamento di navi spesso le popolazioni locali si sono mobilitate al fine di evitarne il recupero a terra da parte delle autorità. Qualche anno dopo l'affondamento succede che il pescato aumenta, ed i turisti subacquei pure (categoria che spende, ndr). Basti pensare al relitto della Haven, di fronte ad Arenzano (La Spezia). La petroliera incendiata ed inabissatasi davanti la costa dopo alcuni anni è tornata a nuova vita colonizzata da tantissime creature marine di tutti i generi e specie. Ma non solo: ora il sito è meta di turisti subacquei esperti provenienti da tutta Europa. Una singola immersione può arrivare a costare sino a 100 euro. E pure i ristoranti e gli alberghi non piangono.
Ma ora, tornando all'Adriatico, è bene sapere che in realtà, nonostante i suoi pochi colori, l'adriatico è un bacino biologicamente fertilissimo; molto più del Tirreno. Grazie sia ai nutrienti portati dal Po che alla sua conformazione geomorfologica. Il "problema", da un punto di vista per così dire naturalistico, è il fondale sabbioso. Non permette agli organismi di attecchire e fissarsi, e quindi di creare comunità biologiche fisse geograficamente stabili, evolvibili nel tempo. Qualsiasi altra superficie solida, invece, diventa un ‘punto caldo' in cui la biodiversità può attecchire e, a velocità esponenziale, proliferare.
E' a questo punto che entrerebbero in gioco le piattaforme dismesse, bonificate e poi affondate: materiali diversi, a differenti profondità e a gradi di esposizione luminosa variabile. Un habitat ideale per flora e fauna marina, di tutti i generi e specie ... dalle microalghe, agli anemoni, crostacei, .... sino alle corvine, astici, aragoste, orate, saraghi, gronchi e boghe, ecc... Luoghi perfetti per tutte le creature marine per nascondersi, cacciare, cibarsi, deporre le uova, riprodursi...
E si che l'esempio più conosciuto in mar Adriatico l'abbiamo sempre avuto sotto gli occhi: il Paguro, la piattaforma Agip inabissatasi in mare nel 1965 di fronte a Ravenna a seguito di un'esplosione, a 12 miglia dalla costa. 35 anni dopo il suo relitto è anch'esso, come la Haven, divenuto meta privilegiata per gli appassionati di immersioni. Si pensi che è definito ufficialmente quale "Sito di interesse comunitario" nell'ambito di Rete Natura 2000 ed è classificato come Zona di riserva integrale dello Stato. [www.associazionepaguro.org] . In 10 anni vi si sono raggiunte quota 40mila immersioni. "Si pensi che il relitto è ad un'ora di navigazione dalla Marina di Ravenna e raggiunge la profondità massima di 32 metri... Ogni escursione costa dai 35 ai 50 euro a persona; è facile immaginare il boom turistico-economico che si creerebbe con un parco subacqueo che collega tutte le piattaforme adriatiche dimesse e affondate".
Un ‘Adriatic Reef", una rete ecologica artificiale subacquea dell'Adriatico", fruibile al turismo subacqueo, naturalistico e sportivo. Un parco unico nel suo genere, che offrirebbe alla riviera romagnola, un' altra attrattiva molto affascinante insieme a movida e ombrellone.
una volta inabissate e stabilizzate, le immersioni possono cominciare fin da subito e, dopo 10 anni dall'affondamento, si potrà ammirare un ambiente analogo a quello del Paguro".
Per il momento il progetto è stato apprezzato da ENI Petroli, Regione Emilia Romagna, Arpa e Ministero, e ci vorranno ora ancora almeno 5-7 anni prima che la prima piattaforma esaurisca la produzione.
Ospitiamo volentieri il contributo di Luca Vignoli, ricercatore scientifico ed esperto in Scienze ambientali e subacquee. Tuttavia ci permettiamo di sottolineare che, dal nostro punto di vista, con questa operazione gli unici a guadagnarci sarebbero ancora una volta le imprese petrolifere. E, ancora una volta, ci troveremmo di fronte all'uomo che, motu proprio, decide di tornare a modificare un ambiente naturale già fortemente segnato dalle attività umane. La redazione.