[01/09/2010] News
LIVORNO. Le Isole Marshall una repubblica della Micronesia formata da 29 atolli corallini, stanno ponendo al mondo una domanda che potrebbe diventare uno dei rompicapi diplomatici, geopolitici ed economici dell'era del global warming: «Un Paese che scompare sotto il livello del mare, resta ancora un Paese?» e le Marshall stanno cercando una consulenza legale per prepararsi a difendere i diritti della loro popolazione se e quando l'Oceano Pacifico le inghiottirà.
Secondo il New York Times «Questo è un problema che dovrebbe porsi anche il Senato degli Stati Uniti, la prossima volta che si rifiuterà di affrontare il cambiamento climatico». Infatti questo minuscolo Stato di 181,42 km2 con poco più di 56 mila abitanti, già colonia tedesca e giapponese, fino al 1990 era sotto amministrazione fiduciaria degli Usa, con i quali mantiene un legame strettissimo. Per non parlare del fatto che gli Usa hanno usato le Marshall come poligono per i loro test di bombe atomiche negli atolli di Bikini e Eniwetok.
Le Marshall sono uno di quei piccoli Stati insulari che da anni, ad ogni climate change talks e summit internazionale sul clima, dicono che il global warming per loro è un pericolo reale ed immediato e che comporterà la loro scomparsa come Stati e popoli.
Secondo il governo dell'arcipelago anche un aumento del livello del mare come quelli previsti dagli scenari meno catastrofici dell'Ipcc farebbe scomparire gli atolli o li renderebbe inabitabili, ponendo il problema di dover spostare un'intera Repubblica sovrana con tutta la sua popolazione, e allora il governo di Majuro chiede all'Onu ed ai grandi Paesi del pianeta: «Se la nostra gente dovrà abbandonare le isole, quale cittadinanza potrà chiedere? Il nostro Paese potrà avere ancora un seggio all'Onu? Chi possiederà i nostri diritti di pesce e di gestione delle risorse minerarie offshore?».
Per ottenere qualche risposta plausibile i leader delle isole Marshall si sono rivolti Michael Gerrard, un esperto di legislazione sul cambiamento climatico della Columbia università.
La piccola Repubblica sottolinea che gli atolli possono diventare inabitabili ben prima che il mare li sommerga completamente e che anche tempeste moderate possono rendere inutilizzabili i terreni agricoli e imbevibili le riserve di acqua dolce. Lo stesso vale anche per i "confinanti" Stati federati della Micronesia e le Kiribati e per gli altri minuscoli Stati insulari dell'Oceania.
In proposito, il New York Times ricorda una risposta data a luglio dalla senatrice democratica del Missouri a chi gli chiedeva perché ritenesse così urgente approvare una legge globale su clima ed energia per gli Usa: «Capisci, ci sono voluti 50 anni per l'assistenza sanitaria... se solo la terra potesse aspettare tanto...».
Le Marshall ci mandano a dire che almeno loro non possono farlo e che se non ci muoviamo subito nel futuro ci troveremo a fare i conti non solo con centinaia di migliaia di profughi ambientali, ma con popoli e Stati "fantasma" che rivendicano una nuova patria e vogliono continuare ad esercitare i loro diritti e la sovranità sul mare caldo del global warming che ricoprirà le loro tante piccole Atlantidi.