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[07/09/2010] News
LIVORNO. Qualche mese fa il primo ministro russo Vladimir Putin stupì tutti dicendo che la Russia doveva puntare allo sviluppo di energie rinnovabili, ma è tornato presto sui suoi passi. Ieri l'uomo forte della Russia, parlando a Soci davanti ai membri del tink tank Valdai che in un rapporto avevano criticato l'immobilismo dell'economia dello Stato-mercato-energetico della Russia, Putin sï di si è riallineato con la sua oligarchia energetico-nucleare ed ha detto che la richiesta di gas naturale non smetterà di crescere sul mercato e che «Solo il nucleare può servire da alternativa agli idrocarburi nei prossimi decenni».
Il Club Valdai è stato fondato nel 2004 dall'agenzia di stampa Ria Novosti, dal Consiglio per la politica estera e della difesa, dal giornale Moscow News e dalle riviste Russia Profile.Org e ogni anno presenta un rapporto e organizza un incontro con centinaia di specialisti stranieri per aiutarli a comprendere meglio la Russia.
Sarà anche per questo che Putin è partito da lontano, dall'altra parte del mondo:«Tutto sommato, il mercato gasiero si ristabilisce progressivamente. Il problema del gas degli scisti negli Usa è molto complicato (...), compreso sul piano ecologico e del costo. Il consumo di idrocarburi nel mondo aumenterà mentre la struttura di questo consumo resterà praticamente immutata e questo, malgrado gli sforzi nel senso dello sviluppo delle energie alternative».
Quindi Putin propone di utilizzare fino a che è possibile i combustibili fossili di cui il mondo non può far a meno, poi di aumentare l'uso del nucleare... tanto si trova tutto al supermarket energetico russo. Come esempio del nuovo corso l'uomo forte della Russia ha fatto quello della decisione del governo tedesco di centro-destra di Angela Merkel di prolungare la vita delle centrali nucleari, cosa che leva un bel po' di castagne dal fuoco al nucleare russo in gran parte ex-sovieticio.
Putin ha spiegato così la decisione del governo nero-giallo di Berlino: «E perché? Ma perché non ci sono alternative... Gli idrocarburi non hanno che una sola alternativa potente, è l'energia atomica».
Che i numeri e le risorse disponibili mettano in dubbio questo assunto non sfiora i pensieri del premier russo, e non potrebbe essere altrimenti con il suo Paese lanciato al galoppo nella vendita di nucleare civile-militare nei Paesi emergenti e in via di sviluppo.
Un esempio di cosa si possa trovare sugli scaffali del supermarket nucleare russo viene dal tokamak russo-kazako di Kurtchatov, una città del Kazakistan vicina al famigerato poligono di tiro nucleare di Semipalatinsk, dove domenica per la prima volta è stato prodotto del plasma.
Non a caso l'annuncio è stato dato in occasione della visita del presidente russo Dmitri Medvedev in Kazakistan da Evgueni Velikhov, presidente dell'Institut Kurtchatov di Mosca (nella foto un laboratorio nucleare) nel corso del forum di cooperazione transfrontaliera kazako-russa.
Kurtchatov ha spiegato all'agenzia News Kazakhstan che «Il clou di questo forum di affari è il tokamak creato dagli ingegneri kazaki e russi, che ieri ha prodotto il suo primo plasma»
I generatori del progetto tokamak (la sigla russa per Cella toroidale con bobine magnetiche) sono stati progettati dall'istituto russo delle correnti ad alta frequenza Vologdine e servono un impianto per la produzione e il controllo del plasma ad alta temperatura destinato alla fusione nucleare e fa parte del discusso progetto internazionale Iter (International thermonuclear experimental reactor), fino ad ora è costato 15 milioni di dollari» Velkhov spiega che «I ricercatori e gli ingegneri kazaki e russi hanno partecipato insieme a questo progetto vecchio 12 anni.
A dire il vero già nel 2003 Russia e Kazakistan annunciarono che il complesso termonucleare termonucleare Tokamak sarebbe entrato in produzione nel 2006, ma un ritardo di 4 anni non può certo preoccupare il nuclearissimo Vladimir Putin che allora era presidente di tutte le Russie, tanto più che i ritardi del tokamak sono niente rispetto a quelli dell'Iter e del suo vertiginoso e continuo aumento dei costi che hanno portato gli Usa ad abbandonare l'avventura.