[27/09/2010] News toscana
FIRENZE. Le assise di Confindustria Toscana sono state un evento tutt'altro che ordinario e le parole pronunciate dalla presidente Antonella Mansi non sono state certamente di circostanza. Almeno quattro punti meritano una sottolineatura.
Primo: la riflessione sulla "toscanità" come svantaggio competitivo. E' una spallata robusta, per quanto non inattesa, all'idea che esista o che possa riemergere un "modello toscano" di sviluppo, che si auto-esoneri dagli imperativi della crescita e del recupero dei livelli di prodotto interno. E' però anche una sfida a ritrovare proprio nella toscanità, ossia nelle specificità di questa regione, nei suoi caratteri distintivi, fondamenti per un posizionamento competitivo nuovo e duraturo. La "location" delle assise, i cantieri Azimut Benetti, non erano, a questo proposito, uno scenario neutro, ma una chiara indicazione della via possibile.
Secondo: il riconoscimento che esiste per l'industria toscana una questione dimensionale, che va affrontata con realismo e senza slogan. Dice Confindustria che la politica industriale deve fondarsi sul concetto di filiere produttive e reti di impresa. Sono queste aggregazioni che devono diventare interlocutori delle politiche e destinatarie di apposite premialità negli incentivi regionali. L'idea non è nuova. Nuova sarebbe però un'impostazione coerente delle politiche in questo senso, senza ricadute nelle mitologie distrettuali o nei sussidi di tipo tradizionale, anche se "giustificati" dalle emergenze della crisi.
Terzo: la richiesta di una legge annuale sulla competitività. L'idea è ottima per due motivi: perché dichiara senza ambiguità l'obiettivo a cui bisogna puntare e perché ripropone in termini aggiornati l'esigenza di una programmazione, al tempo stesso flessibile, ma anche coerente ed affidabile. In una fase in cui si disegna il nuovo Programma regionale di sviluppo, con contorni ancora incerti tra l'approccio "per progetti" voluto dal Presidente Rossi e le consolidate prassi settoriali, la proposta di metodo lanciata da Confindustria merita attenzione.
Quarto: la contrapposizione tra "logica del cipresso" e "ideologia del cipresso". Non vi è solo il rifiuto dell'ambientalismo dei "no". Vi è l'accettazione chiara e forte che vi è bisogno di una logica e quindi di regole. E vi è il richiamo al cipresso, che è emblema non della natura del "bel selvaggio", ma di una natura in dialogo con la presenza umana, le sue esigenze, i suoi manufatti, la sua economia, le sue infrastrutture. I cipressi crescono ordinati lungo le strade della Toscana e le rendono unicamente belle... Forse, ragionando di cipressi, ci si può intendere meglio.
E infine una riflessione merita la stessa Antonella Mansi: il suo discorso, determinato, efficace, senza sbavature retoriche, capace di misurarsi sull'interesse collettivo, spesso lungimirante ed insieme - ci si consenta - di femminile concretezza, non ha lasciato indifferente chi lo ha ascoltato dal vivo. Nella storia d'Italia e di Toscana varie volte si è provato (senza troppi successi) ad immaginare una classe imprenditoriale che sapesse essere anche classe dirigente e non esprimesse solo un ministerialismo di facciata in cambio di favori, sussidi e protezioni. E se fosse la volta buona? In una società in cui il nuovo (i giovani, le donne, le classi creative, l'imprenditoria emergente...) fatica a trovare sia interlocutori che rappresentanza, riuscirà la Confindustria "modello Mansi" ad esprimere questo bisogno di cittadinanza del nuovo, senza limitarsi a fare il sindacato dell'establishment imprenditoriale esistente?
* direttore Irpet