
[12/10/2010] News toscana
FIRENZE. La presa di posizione di una parte della grande distribuzione (Coop) ha nuovamente innescato la guerra dell'acqua: mondo delle minerali da una parte e acque del rubinetto dall'altra. Non sono mancati ancora una volta i confronti, poco attendibili dal punto di vista scientifico, tra queste due tipologie di acque ma l'aspetto rilevante di questa "battaglia" commerciale sono alcune potenziali ricadute positive per l'ambiente. L'operazione di Coop (che ovviamente fa i suoi interessi promuovendo propri marchi) è condivisibile perché mira a fare corretta informazione dicendo che l'acqua del rubinetto è buona (quasi sempre) e si può tranquillamente bere risparmiando anche qualche "soldino". I pregiudizi che circondano le cosiddette acque del sindaco vengono da lontano e oggi vanno superati. Poi la campagna della Coop parla degli impatti ambientali (ormai noti) della filiera delle acque minerali (in particolare nella produzione del contenitore in pet e del sistema di trasporto) e invita a consumare acque in bottiglia provenienti da sorgenti della propria Regione, vicine alle zone di distribuzione.
Visto che siamo primi in Europa e terzi al mondo per consumi di acque minerali se si riuscisse a limitare l'impatto di questo settore ne trarremmo giovamento nell'interesse generale. E questo il punto. L'operazione di Coop se replicata anche da altri settori della grande distribuzione potrebbe servire nel medio-lungo periodo a riequilibrare il mercato. Ecco perché il mondo delle minerali si è sentito "aggredito" nei suoi interessi, di parte, seppur legittimi. Il settore, dove le multinazionali la fanno da padrone, ha un business di oltre 3 miliardi di euro con 12,5 miliardi di litri di acqua imbottigliata ogni anno. L'industria delle minerali sostiene che non è tutto oro quel che luccica ed invita ad osservare che i costi dell'acqua alla vendita sono legati al ciclo completo di lavorazione del prodotto (analisi, imbottigliamento, trasporto recupero degli imballaggi, pubblicità). Insomma l'acqua incide all'incirca sul 10% sul costo finale.
Ma ricordiamo che l'acqua emunta è pubblica e rimane la pressione sulla risorsa troppo elevata con costi ambientali solo in parte riconosciuti. E qui le responsabilità sono del settore pubblico che dovrebbe garantire l'interesse per la collettività. In mancanza di una norma nazionale sul regime delle concessioni ogni regione si è mossa come ha ritenuto opportuno. In alcuni casi tenendo solo conto degli ettari dati in concessione mentre in altri valutando anche la quantità di acqua prelevata. Il risultato è una non uniformità del regime concessorio sul territorio nazionale con un fattore comune: i canoni rimangono comunque irrisori. In Toscana ad esempio, la legge regionale in materia prevede canoni in funzione dei metri cubi imbottigliati ogni anno, in un intervallo compreso tra 0,5 e 2 euro ogni mille litri.
Intanto a livello nazionale sarebbe opportuno ripartire almeno dal "Documento di indirizzo delle regioni italiane in materia di acque minerali naturali e di sorgente" del 2006, che prevede la determinazione del canone anche in base ai principi di tutela e valorizzazione della risorsa idrica e in considerazione dell'impatto delle attività di prelievo e imbottigliamento dell'acqua sui territori in cui vengono rilasciate le concessioni. Nel documento vengono proposti i seguenti criteri come riferimento per la definizione del canone: da 1 € a 2,5 € ogni mille litri o frazione di imbottigliato; da 0,5 € a 2 € ogni mille litri o frazione di emunto; almeno 30 € per ettaro o frazione di superficie concessa.
Questo regolamento a nostro avviso andrebbe rivisto in senso più restrittivo, ma quante sono ad oggi le Regioni che lo hanno applicato? Greenreport cercherà di avere risposte a questa domanda ricordando che il vero valore della risorsa idrica pubblica è cambiato e chi la vuole utilizzare per la propria attività produttiva deve attenersi a requisiti di governo del territorio per le disponibilità (es bilanci idrogeologici) e deve erogare un compenso che sia adeguato. Queste finanze andranno a rimpinguare le casse dei comuni (sempre più vuote) per essere ad esempio riinvestite nella tutela del territorio.