[19/10/2010] News

Le proposte di Cochabamba, troppo ambiziose per essere accettate a Cancun

PECHINO (Cina). Le proposte del gruppo di Cochabamba, come altre ammirevoli proposte, rientrano in un ampio gruppo di idee che verranno effettivamente discusse a Cancun ma che saranno anche, in larga parte, disattese.

Il quadro proposto dal gruppo Cochabamba è senz'altro ambizioso ma non è stato preso come base di discussione per Cancun, è solamente uno dei tanti testi che verranno discussi (ed è già molto) ma certamente molti dei punti proposti non verranno accettati.

Ecco una brevissima analisi dei punti da loro presentati per poi soffermarsi sulla parte del loro testo che veramente 'conta':

· Limit the temperature increase to 1°C: pressochè impossibile dato che molte nazioni stanno ancora discutendo sugli obbiettivi dei 3 o 4 gradi.

· Reduce emissions by more than 50% for 2017: qui il problema di fondo è che non c'è stato alcun accordo sulle riduzioni, ma spenderò qualche parola in più in merito nella seconda parte della mail. Ad ogni modo, per avere un'idea dello stato delle cose, le più realistiche stime relative a possibili accordi parlano di una riduzione attorno al 20% per quel che riguarda i paesi sviluppati per il 2020 e di un complessivo aumento globale per la stessa data.

· Rights of Mother Earth: sì, di questo si è molto discusso, si parla anche di una sorta di 'carta dei diritti della terra', che potrebbe prendere forma proprio a Cancun, per poi essere ratificata dai vari paesi. Il problema come sempre sarebbe il reale valore della carta stessa.

· Full respect for human rights and the rights of indigenous peoples and climate migrants: anche di questo si è discusso molto, sembra in maniera costrutttiva, ma anche qui come sopra resta la questione di come trasformare buoni propositi in attività concrete.

· Formation of an International Climate Justice Tribunal: difficile che si possa arrivare a questo ed anche se fosse avrebbe poteri molto limitati, come altri tribunali internazionali hanno dimostrato e dimostrano di avere.

· No new carbon markets: qui la questione è complicata, dato che i carbon markets, ed in particolare il clean development mechanism (CDM) del protocollo di Kyoto, hanno dimostrato di essere gli unici strumenti efficaci nella realizzazione di progetti di riduzione di gas serra. Il grande dibattito legato al CDM è che quasi tutti i progetti sono stati realizzati in Cina, seguita dall'India e dal Brasile, mentre ai paesi più poveri è andato ben poco. La cosa però è ovvia: progetti market-based di riduzione delle emissioni vanno dove ci sono le risorse (e quindi le maggiori emissioni). Del resto l'obiettivo principale di questi meccanismi resta la riduzione di emissioni e non lo sviluppo sostenibile dei paesi (sebbene i progetti market-based abbiano effetti indiretti anche in questo senso). Secondo molti osservatori (incluso il sottoscritto), questi meccanisimi dovrebbero essere mantenuti, dato che hanno grosse potenzialità di riduzione di emissioni sia nei paesi sviluppati che nelle potenze emergenti ed hanno effetti, seppur marginali, anche nei paesi meno sviluppati. Dovrebbero comunque essere affiancati da altri meccanismi non market-oriented ed esplicitamente indirizzati alle aree più povere del mondo oltre a quelle più fragili e a rischio a causa dei cambiamenti climatici.

· 6% of GDP in developed countries to finance climate change actions in developing countries. Questo obiettivo è impensabile sia ora, in un momento di crisi per i paesi più sviluppati, che in futuro. Pensare davvero che i paesi sviluppati, che a malapena riescono a devolvere un 1% del loro PIL agli aiuti umanitari, possano devolvere sei volte tanto per azioni contro il climate change in paesi in via di sviluppo è pura utopia. In generale è difficile e rischioso proporre 'quantità di PIL' da devolvere a questo tipo di interventi poichè, come gli aiuti umanitari e allo sviluppo ben insegnano, molto spesso questo tipo di promesse viene disatteso. Sul versante dei fondi certi e obbligatori che i paesi sviluppati devono destinare ad azioni di lotta al climate change nei paesi in via di sviluppo ho sentito proposte ben più interessanti, come ad esempio l'ipotesi di devolvere per intero la 'climate tax'  che ogni passeggero dovrebbe pagare per volare su un aereo, una sorta di 'tassa di scopo' insomma, che potrebbe risultare davvero efficace.

· Lifting of barriers to intellectual property that facilitates technology transfer. Anche qui purtroppo siamo sull'utopico. Nessuno prende in seria considerazione l'idea della cancellazione degli IPRs sulle tecnologie legate alla lotta al cambiamento climatico. D'altra parte ci sono stati discorsi interessanti relativi a collaborazioni in materia di tecnologia, non solo tra nord e sud ma anche tra sud e sud (Cina e paesi africani ad esempio), grazie a cui gli IPRs passerebbero in secondo piano. Inoltre, già da Copenhagen, si è fatta strada la proposta dei governi norvegese e messicano per la creazione di un fondo speciale destinato a facilitare il trasferimento tecnologico.

· No commodification of forests. Paradossalmente questo punto è forse il più realistico del pacchetto Cochabamba, anche grazie all'evoluzione delle discussioni sul progamma REDD+ che dovrebbe portare ad una reale gestione sostenibile delle risorse forestali nel mondo, con benefici diretti anche per le popolazioni che vivono nelle zone forestali stesse.

Per quel che riguarda la parte finale del testo di Cochabamba, i passi avanti a cui fa riferimento sono quelli che dovrebbero portare alla creazione di uno o più fondi internazionali pubblici per il finanziamento di attività di adattamento, mitigazione e trasferimento tecnologico per i paesi in via di sviluppo, mentre il vero nocciolo della questione è ciò che viene detto in seguito.

Non c'è ancora alcun accordo in merito della reale distribuzione delle future quote di riduzioni obbligatorie di gas serra per i paesi sviluppati e questo, che era il punto fondante del Protocollo di Kyoto, rischia seriamente di rimettere in discussione l'intero meccansimo su cui fino ad ora si è sostenuta l'idea di lotta al cambiamento climatico. Il loro riferimento alla concreta ipotesi di rimandare la questione a Cape Town e 'oltre', altro non è se non uno dei tanti segnali di allarme per il possibile fallimento dei veri negoziati sul climate change.

Sull'ultimo punto mi soffermo poco dato che ne ho già discusso nell'analisi per punti: a mio parere i market mechanisms hanno un senso, sopratutto se affiancati ad altri strumenti più adatti alle esigenze dei paesi e popoli più svantaggiati. I market mechanisms hanno persino un valore di incentivo, in alcuni casi specifici, in materia di gestione delle foreste (parlo di casi limite dove il rischio di deforestazine è estremamente elevato), mentre nella gran parte dei casi è necessario seguire politiche ben differenti per la tutela dei patrimoni forestali e dei diritti di coloro che vi abitano.

 

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