[20/10/2010] News

Espinosa: «Non ci sono le condizioni per un accordo a Cancun»

LIVORNO. Patricia Espinosa, il ministro degli esteri del Messico, il Paese che dal 29 novembre al 10 dicembre ospiterà il summit Unfccc di Cancun, sembra la più delusa di tutti: «Non sono state soddisfatte le condizioni per adottare a Cancun un nuovo Protocollo, in sostituzione di quello di Kyoto che scade nel 2012». Lo scontro avvenuto ai Climate change talks di Tianjin tra Cina ed Usa ha spazzato via anche le ultime timide speranze di accordo e a poco servirà l'ennesimo appello del presidente messicano Felipe Calderon che ha sottolineato l'urgenza di un accordo perché «Le comunità più povere stanno già soffrendo l'impatto del cambiamento climatico».

In questo clima ogni Paese "importante" sembra trincerarsi dietro proprie posizioni. Secondo Japan Today, il primo ministro Naoto Kan ha detto che il Giappone oppone ad «Estendere semplicemente il Protocollo di Kyoto, l'attuale trattato internazionale volto a contenere il riscaldamento globale, e per affrontare il cambiamento climatico vuole vedere succedergli un quadro più ampio che includa tutti i principali Paesi».

Esattamente quello che non vogliono i Paesi in via di sviluppo e soprattutto il potente gruppo del Basic (Brasile, Sudafrica, India e Cina) che a Copenhagen fece l'accordo con gli Usa.

Intervenendo ad una sessione del Comitato di verifica della Dieta (il parlamento giapponese) Kan ha detto che «La posizione del nostro Paese rimane invariata nel chiedere l'immediata adozione di un documento globale giuridicamente vincolante, in grado di creare un efficace quadro globale al quale parteciperanno tutti i Paesi».

Quindi un netto no alla Cina (con la quale Tokyo ha in corso un durissimo scontro sui confini marittimi e il possesso di alcune isolette) che chiede una proroga provvisoria del patto di Kyoto nel caso che non fosse trovato un nuovo accordo per sostituirlo dopo la sua scadenza nel 2012. L'atteggiamento del Giappone, che sembrava essere più moderato dopo la vittoria del Partito democratico, rischia di inimicarsi anche i Paesi del G77 e quelli degli altri gruppi dei Paesi in via di sviluppo, antiopi che l'Unione europea ha recentemente deciso di sostenere la proposta di estensione del protocollo di Kyoto, a condizione che i principali emettitori di gas serra, come la Cina e gli Usa, fossero obbligati a ridurre le loro emissioni. Una via di mezzo che "salva" i Paesi in via di sviluppo ma mette in difficoltà comunque la Cina, che secondo il Protocollo di Kyoto non è tenuta a ridurre le sue emissioni di gas serra, che obbliga solo i paesi sviluppati, mentre gli Usa a quel Protocollo non hanno mai aderito, anche se hanno continuato imperterriti a dettare condizioni nei negoziati sul clima.

Comincia a spazientirsi perfino la Banca mondiale, da Hanoi il suo vice-presidente per lo sviluppo sostenibile, Inger Andersen, manda a dire che «Gli importanti colloqui sul global warming del mese prossimo dovranno fornire rassicurazioni per il futuro del mercato delle emissioni di gas serra. Quello che dobbiamo trovare è come assicurare che il carbon trading non crolli - ha detto all'Afp - Trovare il modo per assicurarlo sarebbe molto importante per il mondo».

Il problema è nuovamente il destino del Protocollo di Kyoto che ha dato il via al carbon market e che saltando farebbe crollare il meccanismo della compra-vendita delle quote di emissioni.

A Cancun ormai non è più solo in gioco il cambiamento climatico, ma anche una cosa che interessa di più molti governanti e politici: un bel pezzo di economia e investimenti, forse è qui il punto nevralgico che li convincerà a fare qualche passettino in avanti.

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