[22/10/2010] News
LIVORNO. La globalizzazione e la battaglia per le risorse tra le multinazionali prendono complicate e inaspettate strade: mentre (come scriviamo in un altro articolo di greenreport, link a fondo pagina) le multinazionali petrolifere australiane cercano di colonizzare con le loro piattaforme offshore il mare tra Linosa e Pantelleria e le coste africane, le nostre multinazionali continuano ad espandersi nel Golfo di Guinea, in una parte di Oceano Atlantico che è considerata ormai stabilmente inquinata a livelli che fanno impallidire la marea nera provocata dall'affondamento della piattaforma Bp nel Golfo del Messico.
La concorrenza è sempre più forte e le risorse sempre più limitate ed ambite, tanto che diventa preziosa anche la minuscola fascia costiera di un piccolo Paese come il Togo e che, per farsi spazio, le democratiche imprese italiane facciano con regimi discussi ed autoritari come quello del presidente togolese Faure Gnassingbé (rieletto tra accuse di brogli e scontri di piazza) le stesse ciniche cose delle quali accusiamo le spregiudicate imprese di Stato cinesi.
Nella serata di ieri un comunicato dell'Eni informava che «Il ministro dell'Energia e delle Risorse minerarie del Togo Dammipi Noupokou e l'amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni, insieme al direttore generale Eni E&P Claudio Descalzi, hanno firmato oggi due contratti per l'esplorazione e la produzione di idrocarburi nell'offshore togolese. Questi accordi sanciscono l'ingresso di Eni nel Paese.
Durante la cerimonia, che si è svolta alla presenza del Presidente della Repubblica del Togo Faure Gnassingbe, è stato illustrato il ruolo di Eni nella valorizzazione delle potenziali risorse di idrocarburi del Paese, così come il modello di cooperazione applicato con successo negli altri Paesi della regione in cui Eni opera da tempo. La firma dei contratti permetterà a Eni, operatore dei blocchi 1 e 2 con una partecipazione del 100%, di effettuare tutti gli studi necessari per valorizzare l'area situata nel Dahomey Basin, una regione scarsamente esplorata del Golfo di Guinea e confinante a Ovest con il Tano Basin, dove si sono già avute significative scoperte e dove Eni è già presente».
Poi la nostra multinazionale ci informa che «Con questa operazione Eni consolida la sua leadership nella regione subsahariana, dove è già presente in Nigeria, Repubblica del Congo, Ghana, Angola, Repubblica Democratica del Congo e Mozambico con una produzione operata complessiva di 450.000 barili di olio equivalente al giorno e un'attività esplorativa in forte crescita. In questa regione Eni è inoltre impegnata nella formazione del personale locale e nella realizzazione di numerosi progetti sociali, sanitari, agricoli e di conservazione dell'ambiente anche mediante la produzione di energia elettrica da gas».
Insomma, quando su greenreport vi informiamo sulla "maledizione del petrolio" che ha colpito questi Paesi, quasi tutti a basso tasso di democrazia e ad alto tasso di corruzione (quando non con guerre civili ed etniche in corso), bisogna pensare che anche le nostre aziende stanno facendo la loro parte, a volte con una buona dose di pelo sullo stomaco.
D'altronde il regime di Faure Gnassingbé il giorno prima della firma dell'accordo con l'Eni aveva emesso un comunicato del Consiglio dei ministri che lo annunciava: «Il Togo pensa di riprendere l'esplorazione petrolifera e di conferire a delle società straniere il compito di realizzare delle trivellazioni offshore. Il ministro delle miniere e dell'energia, Noupokou Damipi, è stato incoraggiato a proseguire le discussioni ed a firmare, se è il caso, dei contratti di partnership». Damipi aveva già la penna pronta per firmare l'accordo con gli italiani.
Per la sua avventura petrolifera il Consiglio dei ministri del Togo parte da alcune domande: «C'è del petrolio nel sottosuolo togolese? E in che quantità e a quale profondità? Sono altrettanti elementi che determineranno l'interesse delle compagnie straniere. Dei segnali spingono ad un prudente ottimismo». Infatti il vicino Ghana ha deciso di proseguire l'esplorazione sulla costa est, in prossimità della frontiera col Togo.
Secondo la rivista Bloomberg Business Week, che ha dato l'informazione a giugno, "Il bacino di Keta, che sarà esplorato, si estende dalla città di Accra fino alla frontiera col Togo¨. Diverse compagnie vogliono partecipare alle trivellazioni ed agli studi sismologici tra le quali l'australiana Tap Oil, l'americana Afex e la società pubblica Ghana National Petroleum Company. I risultati sono particolarmente attesi dal regime del Togo perché se verranno scoperte riserve nella zona frontaliera, potranno autorizzare trivellazioni alla ricerca di petrolio anche in questa zona, e aprire tasche e cassaforti per far entrare i petrodollari.
Il Togo però ha qualche problema di democrazia su cui tutti sorvolano: proprio in questi giorni il consiglio di amministrazione dell'Extractive industries transparency iniziative (Eiti) riunito fino al 20 ottobre a Dar-es-Salaam, in Tanzania, doveva decidere se accettare come candidato (quindi non ancora come membro) il Togo che solo in quell'occasione si è impegnato a pubblicare tutti i pagamenti delle sue industrie estrattive. Il piccolo Paese africano attualmente esporta fosfato, calcare ed è in attesa di esportare ferro, oro e marmo, oltre naturalmente il petrolio che l'Eni spera di trovare al largo delle sue coste.
L'Eiti è una coalizione di governi ed imprese di Ong, investitori e organizzazioni internazionali che vigila sulla qualità della governante nei Paesi ricchi di risorse, attraverso verifiche e la pubblicazione completa dei pagamenti effettuati dale imprese e delle entrate percepite dai governi provenienti da petrolio, gas e minerali.
Però, a scorrere i nomi dei Paesi aderenti e candidati non sempre (anzi quasi mai) la trasparenza fa rima con democrazia e diritti umani e dei lavoratori e tutela dell'ambiente.