[29/10/2010] News

Riparte la corsa al petrolio in Val di Noto, patrimonio Unesco

LIVORNO. Dopo che nei giorni scorsi Consiglio di giustizia amministrativa ha annullato il ricorso vinto in primo grado dall'amministrazione comunale di per bloccare l'attività di ricerca della compagnia texana Panther Oil, in Sicilia sembra ripartire la corsa alla trivellazione di petrolio in Val di Noto, patrimonio Unesco.

L'area dove il colosso texano del petrolio, vorrebbe a tutti i costi avviare le trivellazioni per l'estrazione del greggio è quella di Serra Grande, una contrada a un paio di chilometri dalla cattedrale di Noto, prezioso esempio di barocco siciliano. Il tutto nonostante i vincoli paesaggistici: la zona è in piena Val di Noto, uno dei patrimoni dell'umanità tutelati dall'Unesco e patria, tra l'altro, del vino Nero d'Avola Doc.

Italia Nostra ricostruisce la storia di questa vicenda che vede b nuovamente contrapposta la ricerca di idrocarburi alla tutela di beni culturali, ambientali e paesaggistici: «Dal 2004 la nota compagnia petrolifera tenta di perforare i territori tra Noto, Ragusa e Vittoria. Una decisione, quella del Cga, che arriva proprio mentre gli amministratori siciliani sono frastornati da decine di richieste, di piccole e grandi compagnie petrolifere, che hanno presentato istanza al ministero dello sviluppo economico per impiantare piattaforme nel mar Mediterraneo. Indubbiamente, il pronunciamento del Consiglio di giustizia amministrativa fa tornare alta la tensione e rilancia i timori per lo sfruttamento di zone paesaggisticamente incontaminate, di altissimo valore culturale e turistico. Fermati, più che dai ripetuti e sempre appellati provvedimenti amministrativi, dalla rivolta delle popolazioni locali e da decise prese di posizione da parte di ambientalisti e intellettuali, gli americani della Panther Oil avevano annunciato di rinunciare alle trivellazioni nei siti protetti. Di fatto, dal sagrato della splendida cattedrale barocca di Noto, restaurata di recente dopo il clamoroso crollo della cupola, il pozzo della compagnia texana si trovava, e si trova, ad una distanza di appena due chilometri e mezzo. I comitati "no triv" avevano già cantato vittoria ma, calata l' attenzione dei media, i dirigenti della Panther Oil hanno presentato ricorso al Tar di Palermo, contro il provvedimento del Governo regionale che, nel frattempo, aveva bloccato le trivelle in ogni parte della Sicilia, e hanno avuto ragione: riaccendendo i motori delle trivelle in un pozzo esplorativo del Ragusano, in territorio di Vittoria, il pozzo "Gallo sud", pericolosamente prossimo a pozzi e sorgenti che forniscono l'acqua ai comuni vicini. Poco tempo dopo, un altro giudice, questa volta del Tar di Catania, fermava di nuovo gli impianti degli americani che, evidentemente, non hanno affatto intenzione di rinunciare al grande affare siciliano. Mentre ricorre al Cga, la Panther Oil chiude il cantiere, licenzia una trentina di lavoratori e rescinde i contratti con le società di servizio».

Il Comitato No-Ttriv, che oggi ha convocato una manifestazione a Vittoria, sottolinea che «Questo l'ultimo capitolo della vicenda che ha inizio nel 2004, quando la Regione siciliana, presieduta allora da Salvatore Cuffaro, concesse alla Panther Oil i permessi per le trivellazioni nella zona. Nel 2005 esplose la protesta dei residenti e il governo regionale fu costretto a bloccare i permessi nelle aree Unesco, ma, dopo pochi mesi, il Tar accolse il ricorso degli americani. Nell'estate del 2007 fu la volta della raccolta di oltre trentamila firme di cittadini contrari alle speculazioni sul territorio, dopo l'appello lanciato da Andrea Camilleri sul quotidiano la Repubblica. A quel punto, i petrolieri rinunciarono all'affare, ma nel frattempo, ricorsero ancora una volta al Tar. Tra blocchi e ricorsi, siamo arrivati adesso all'ultimo verdetto del Cga che consente la ripresa dei lavori». Dopo la sentenza favorevole i petrolieri texani sono pronti a far ripartire le trivelle e chiedono anche un risarcimento per i danni subiti in questi due anni di stop forzato.

Il sindaco di Vittoria, Giuseppe Nicosia, invoca vincoli del Piano paesaggistico e lo stesso fa il vicepresidente della Commissione nazionale antimafia, il finiano Fabio Granata: «La Regione e lo Stato hanno gli strumenti adeguati per governare la complessa questione: piena e completa attuazione dei piani paesaggistici, istituzione del Parco degli Iblei e approvazione immediata di una norma che esclude la presenza di impianti di ricerca petrolifera o di produzione energetica nelle pertinenze dei territori tutelati dall'Unesco e/o dalla Regione o dallo Stato. Si tratta quindi di una scelta politica chiara».

Ma il presidente della regione Raffaele Lombardo non è riuscito a dire altro che «Siamo contro le speculazioni», mentre il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, che è di Siracusa, preferisce polemizzare con la Regione ribelle: «Per evitare le trivelle bisogna istituire, subito, il Parco Nazionale degli Iblei. Sono stati inviati alla Regione Siciliana negli ultimi due anni finanziamenti per oltre tre milioni di euro per le spese di istituzione e lo start up dei parchi, ma la Regione ha riavviato da zero il procedimento al termine del quale dovrebbe far pervenire delle proposte di perimetrazione dei parchi al Ministero. Il risultato, è un ennesimo rinvio a data da destinarsi della nascita dei parchi, fra cui quello degli Iblei, che farebbe da scudo alle trivellazioni».

Leandro Janni, consigliere nazionale di Italia Nostra, spiega che «Ad ogni modo, che l'ultima sentenza sia sufficiente a far ripartire le trivelle nei peculiari territori della Sicilia orientale, è ancora tutto da vedere. Certo è se fossero stati vigenti i piani paesaggistici, quelle perforazioni non avrebbero mai potuto essere autorizzate». E il comitato No-Triv aggiunge: «Restiamo allora in attesa che vengano prese le decisioni giuste, augurandoci che le trivelle vengano fermate ancora una volta, oltre che dalle legittime proteste dei cittadini, anche e soprattutto dalle istituzioni. Scempi sul territorio in Sicilia ne abbiamo avuti fin troppi, ma questo sarebbe il colmo. Poi il Nero d'Avola "al petrolio" non piacerebbe neanche agli americani. O forse sì?».

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