[03/11/2010] News
LIVORNO. Una pessima lezione da imparare. La debacle di Obama nelle elezioni di mid term, anche se alla fine meno disastrosa del previsto, è un pugno in faccia all'economia ecologica. Di più. Spazza via anche le certezze dei più integralisti credenti della pedagogia delle catastrofi visto che l'uomo che "poteva" ha perso la fiducia degli elettori anche negli Stati bagnati dal Golfo del Messico tristemente famosi per la marea nera della Bp.
Quel disastro ambientale che a due attenti conoscitori dell'economia ecologica come Gianni Mattioli e Massimo Scalia - QualEnergia di ottobre - ha fatto affermare che: «nessuno se la sente di difendere direttamente la Bp nel Golfo del Messico; e il modo di produzione capitalistico si orienta sempre più verso la green economy, complementare e omogenea a quella tradizione dell' ‘industrialismo' - la civiltà delle macchine - all' ‘informazionalismo' - la civiltà del web - che è stata segnalata in corso da almeno trent'anni. Questo è il contesto verso Cancun». L'analisi non farebbe una piega se i fatti non l'avessero smentita clamorosamente.
E dunque il contesto verso Cancun - e più in generale l'idea di un nuovo paradigma economico meno dissipatore di energia e di materia che aveva fatto intravedere Obama - è deprimente. Nonostante il successo di Nagoya, sul filo di lana va detto, le possibilità che Cancun possa portare risultati confortanti sono praticamente zero, visto che gli Usa arriveranno a quell'appuntamento dopo aver giocoforza dovuto dire addio ai tetti per la C02 e alla carbon tax. E non si sa se per ritrovare un po' di consenso non tocchi ad Obama di dover accettare altri compromessi al ribasso.
Va detto, però, che non è tutta colpa sua. Noi lo abbiamo prima esaltato e poi criticato, ma quale sia la realtà americana lo spiega molto bene oggi lo scrittore Joe Bageant nell'intervista rilasciata al Corsera: «Washington è un sistema manovrato dalle corporation sanitarie, militari, petrolifere. E tutti, alla fine, vengono domanti e addomesticati dalla macchina». Il modello economico che ci ha portati alla crisi, dunque, non solo non è crollato come si sperava (e qualcuno affermava con troppa sicumera) sotto i colpi della crisi stessa, ma addirittura torna ad essere per gli americani (e non solo per loro) il faro che indica la via, in due parole l'exit strategy...
Noi, ovviamente, speriamo che Obama resista, ovviamente. Che dopo due anni abbia ancora la forza per un'ulteriore svolta verso la sostenibilità e verso una più decisa economia ecologica. Ma stavolta non ci facciamo troppe illusioni. E' comprensibile, anche se letale da un punto di vista più ad ampio respiro, che chi ha perso il posto di lavoro pensi e voti per chi glielo promette e non voti chi non glielo ha fatto ritrovare. Gli Usa non sono abituati a una disoccupazione così alta e non conoscevano il pessimismo e l'austerità da tempo immemore.
Il recovery act ha rallentato l'emorragia ma non ha dato i frutti sperati, soprattutto in termini di nuovi posti di lavoro e questa è la cosa che più ha pagato Obama. Nonostante che con la sua riforma sanitaria, che i repubblicani vorrebbero abrogare, proprio a tanti di questi che ora non hanno un'occupazione permetterà di non indebitarsi fino all'osso in caso di problemi di salute. Non sarebbe poca cosa, ma evidentemente non basta ed è vero che la riforma non è stata nemmeno come l'aveva immaginata Obama.
Evidentemente il presidente del "cambiamento" paga pure le altissime aspettative che non solo in Usa tutti avevano su di lui, però c'è ancora il tempo per uscirne fuori in modo dignitoso. Altri presidenti hanno pagato dazio alle elezioni di mid term il problema non è la caduta, ma l'atterraggio e soprattutto come saprà rialzarsi. Con un'ultima annotazione: una politica diversa da quella promessa in campagna elettorale e che lo ha portato a vincere le elezioni del 2008 salverebbe forse la sua legislatura, ma non risolverebbe alcuno dei problemi degli Usa che poi sono quelli della gran parte del mondo occidentale.