[05/11/2010] News
FIRENZE. C'è necessità di una nuova etica dell'ambiente scrive oggi sulle pagine del Tirreno Adriano Fabris a commento della tragedia di Massa. Una cultura del territorio, che si ispiri ad un nuovo paradigma in cui tutela, rispetto e mitigazione degli impatti già provocati non siano solo buoni principi ma azioni da attuare quotidianamente aggiungiamo noi. Cultura significa anche conoscenza che non è mai abbastanza specialmente quando si parla di corsi d'acqua in questo Paese.
Il Cirf (Centro italiano riqualificazione fluviale) riferendosi anche agli ultimi eventi, specialmente quelli in Veneto e Lombardia, spiega perché l'acqua caduta al suolo provoca oggi conseguenze così drammatiche per l'uomo.
«Solitamente si dà la responsabilità alle piogge eccezionali, alle opere di difesa attese da anni e mai realizzate, alla mancata rimozione di sedimenti in alveo... consolidando nell'opinione pubblica l'idea che la causa principale di queste tragedie sia da ricondurre ai mancati investimenti in opere (argini, casse d'espansione, briglie, ecc.) e all'insufficiente manutenzione dei fiumi (la cosiddetta "pulizia degli alvei", i cui benefici sono spesso più immaginari che reali)- introducono dal Cirf- La nostra convinzione è che le risposte siano, nella maggior parte dei casi, altre».
«La situazione attuale è dovuta in larga parte al fatto che lungo i fiumi si è intervenuti e si sta intervenendo troppo e male. In Italia, invece di concepire strategie di pianificazione incardinate sul concetto della non occupazione delle aree destinate all'espansione naturale dei corsi d'acqua, la difesa del suolo per troppo tempo è stata basata quasi esclusivamente sulla realizzazione di opere di ingegneria idraulica, disseminando i nostri fiumi di briglie, difese spondali e muri per la "messa in sicurezza". In molti casi si è trattato di interventi puntuali, privi di una effettiva valutazione della reale efficacia e delle conseguenze a scala di bacino. Il rischio idraulico è stato spesso ridotto localmente, facendolo però aumentare a valle!».
Meno artificializzazione e più natura anche per ridurre il rischio idraulico, lo affermano moltissimi studi scientifici e ormai anche istituzioni come l'Unep e Iucn "smontando" l'assurda convinzione che i due obiettivi siano tra loro in antitesi.
«Assecondare, dove le condizioni del territorio lo permettono, le dinamiche fluviali significa migliorare le condizioni dell'ecosistema e al tempo stesso ridurre il rischio e le spese- continuano dal Cirf- Delocalizzare strutture a rischio, puntare al riequilibrio del ciclo sedimentario arrestando i prelievi selvaggi di inerti dagli alvei, restituire spazio al fiume allontanando gli argini e riducendo il consumo di suolo da parte di nuovi insediamenti, incrementare la capacità di laminazione del reticolo idrografico minore, abbandonare l'idea che si possa "mettere tutto in sicurezza" e gestire meglio il rischio residuo, ridurre la vulnerabilità degli edifici all'inondazione, implementare un razionale sistema di strumenti assicurativi sono solo alcune delle soluzioni possibili, sperimentate con successo in molti Paesi europei e ultimamente anche in qualche contesto italiano».
Secondo il Centro italiano riqualificazione fluviale deve essere poi recuperato il concetto originario di protezione civile, le 3P di Prevedere Prevenire Proteggere: «è spesso travisato e dimenticato. Ora ci si preoccupa principalmente dell'intervento in emergenza, a cui vengono destinati, spesso bypassando la pianificazione territoriale, anche buona parte dei fondi che normalmente venivano utilizzati per la manutenzione ordinaria e la riduzione della vulnerabilità. Gli amministratori pubblici, a tutti i livelli, si assumano la responsabilità di invertire la rotta: la "grande opera" che serve al Paese è la rinaturazione dei bacini fluviali, che ne arresti l'artificializzazione e restituisca almeno in parte gli spazi per la libera esondazione che per troppo tempo sono stati sottratti ai nostri fiumi» concludono dal Cirf.