[09/11/2010] News
NAPOLI. Una moratoria che, a partire dal 2012, blocchi ogni opera di bioingegneria, anche a fini di ricerca, almeno: «Fino a quando non vi sarà un'adeguata base scientifica che giustifichi queste attività e appropriate considerazioni sui rischi associati». È quanto hanno chiesto a Nagoya, in Giappone, i rappresentanti della Nazioni Unite a conclusione dei lavori della Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione sulla Diversità Biologica.
La richiesta non ha valore legale vincolante. Ed è un po' più articolata della sintesi che vi abbiamo proposta. Ma sta già facendo discutere e, soprattutto, sta già riscrivendo l'agenda delle attività di ricerca scientifica su quel - come dire? - "pacchetto di stimolo" indirizzato alla natura perché ci aiuti a controllare i cambiamenti del clima.
Le attività ipotizzate di bioingegneria sono, per la verità, molto diverse tra loro. Vanno dai pannelli per riflettere la luce del Sole posti in orbita nell'alta atmosfera, alla fertilizzazioni degli oceani perché producano fitoplancton e assorbano anidride carbonica. Tutte hanno come scopo quello di rallentare la corsa verso l'alto della temperatura media del pianeta.
Le ipotesi di bioingegneria sono molte e, alcune, molto fantasiose. Ma pochissime sono state scientificamente testate, per poche sono in corso o si prevedono esperimenti. Le scuole di pensiero, anche in ambito scientifico, si dividono. Da un lato ci sono i possibilisti che dicono: i cambiamenti del clima sono la più grave minaccia che incombe sull'umanità in questo secolo. Dobbiamo mettere in campo tutti gli strumenti utili per contrastarli. Tra questi anche gli strumenti, ragionevoli, della bioingegneria. Ma perché questi strumenti mostrino la loro ragionevolezza e utilità occorre sperimentarne l'azione sul campo. Dunque, sperimentiamo.
Dall'altro lato la scuola di pensiero che interpreta in maniera più restrittiva il principio di precauzione. I cicli biogeochimici della natura sono complessi e seguono percorsi non lineari. Intervenire in maniera significativa, anche con esperimenti, ci espone al rischio di effetti indesiderati. Prima di agire, anche solo a fini di ricerca, occorre saperne di più. Ecco perché - in attesa di saperne di più - chiediamo una moratoria, almeno per gli esperimenti su larga scala.
Ed è questa seconda scuola di pensiero che ha prevalso a Nagoya, inducendo la Conferenza delle Nazioni Unite a chiedere, appunto, il blocco momentaneo di tutte le attività .
Con un'unica eccezione: per le attività di ricerca non solo "strettamente controllate e confinate", ma anche «giustificate dalla necessità di raccogliere dati scientifici specifici».
Certo, la moratoria dovrebbe partire nel 2012. Ma molti ricercatori impegnati in concreti progetti di ricerca di bioingegneria sono allarmati. Il ricordo va al 2008, quando, nella ambito della Conferenza della Parte della Convenzione sulla Diversità Biologica, venne chiesta e ottenuta la moratoria sulla ricerche relative alla "fertilizzazione degli oceani", tranne che per progetti a piccola scala. La richiesta indusse comunque la Germania a sospendere, all'inizio del 2009, il progetto LOHAFEX.
Bloccare un intero comparto di ricerca non è una decisione da prendere a cuor leggero. Soprattutto se si vuole agire in tempo utile per rallentare l'aumento della temperatura media del pianeta.
Critiche di merito alla richiesta di moratoria riguardano una certa indeterminazione nei vincoli indicati a Nagoya. Non è chiaro cosa debba intendersi per ricerche "strettamente controllate" e giustificate dalla raccolta di "dati scientifici specifici". Ma è anche vero che ricerche di bioingegneria o addirittura progetti di intervento su larga scala potrebbero sortire effetti indesiderati di gran lunga superiori a quelli desiderati. E che prima di impegnarsi a fertilizzare gli oceani o a tappezzare il cielo di pannelli riflettenti occorre saperne di più. Come? Con una più lenta e paziente ricerca fatta di simulazioni al computer e di piccoli esperimenti sul campo.