[09/12/2010] News
La mobilitazione a Cancun martedì è tornata simbolicamente sotto quel luogo tragico che nel 2003 durante il vertice della OMC, vide togliersi la vita con uno stiletto in pieno stile harakiri dall'alto di una grata antisommossa, il leader sindacale campesino sud-coreano Lee Kyung Hae. Contadino di 56 anni, da anni lottava perché fossero riconosciuti e tutelati i diritti dei contadini profondamente danneggiati dalle politiche commerciali internazionali adottate anche attraverso la OMC. E infatti proprio mentre il suo Paese stava crescendo secondo tante statistiche ed alcuni parametri anche importanti come istruzione e sanità, piuttosto bene, ci si era dimenticati di una parte della popolazione, quella contadina e delle sue famiglie interamente e irrimediabilmente indebitate.
E così mentre il presidente della Commissione europea Barroso al vertice fra Ue e Russia a Bruxelles, ha definito realistica l'ipotesi che la Russia diventi membro del Wto nel 2011, e la sedicesima Cop dall'avvio del Protocollo di Kyoto sta entrando nei giorni più caldi, si è un po' voluto ripartire da lì almeno da parte di Via Campesina. Un concentramento in centro città, un altro a metà strada tra dowtown e Moon Palace, dove si tengono i lavori ufficiali della COP16, poi alla fine della marcia, l'incontro tra i due spezzoni, il più vicino possibile alla sede del vertice, e la celebrazione di un'Assemblea dei popoli, per porre al centro quello che succede alle popolazioni più povere e più dimenticate dalla storia, gli indigeni, i contadini, anche quelli del primo mondo tra Europa e Usa, quando la furia dei cambiamenti climatici si abbatte contro di loro, in assenza di politiche efficaci e di meccanismi pubblici trasparenti per la gestione delle poche risorse.
Alcune migliaia di attivisti per gran parte giovani, hanno marciato nella città lungo avenida Lopez Portillo, dietro lo striscione del Dialogo climatico, "Per una giustizia sociale e climatica". Climate Justice Now, con le italiane Legambiente e Fair insieme a Friends of the Earth, Jubilee South, sindacati, contadini e il caucus indigeni, hanno costituito il corpo del corteo che ha sfilato in centro con simboli spettacolari come un grande orso bianco, un camioncino musicale alimentato da pannelli solari, un drago cinese lungo 15 metri con una terra in bocca, e quattro pupazzi giganti di contadini e contadine a spasso per il corteo.
Sembrano tanto lontani i profughi climatici, semplici numeri sull'ennesimo rapporto, ma quando marci insieme, analizzi insieme i testi negoziali, ragioni insieme su come far sì che le politiche che li danneggiano cambino davvero, allora non c'è differenza tra il Veneto e il Chiapas, tra il nostro Sud e quello del mondo. Lo spezzone contadino, che si è dato appuntamento al Villaggio climatico, era raccolto dietro uno striscione di "Contadine e contadini che raffreddano il pianeta", e un altro, dei sindacati nazionali che si battono contro le politiche di riforestazione nazionale imposte senza trattativa dal Governo alle loro comunità e che proclamano "No al REDD. I boschi messicani non sono vuoti".
«Sorprende che dopo anni di commercio equo, dopo anni di economie solidali, anni di pratiche dal basso che funzionano, di sperimentazioni di sistemi comunitari e cooperativistici di gestione delle risorse- ha sottolineato Alberto Zoratti di Fair, anche lui in marcia verso il Moon Palace -ci siano ancora negoziatori, esperti e Governi che credono che le ricette imposte dall'alto funzionino meglio e siano più efficienti. I tanti sprechi della cattiva cooperazione dimostrano che le iniziative che partono delle comunità sono più giuste, efficienti, efficaci e persino più sostenibili. Ci rimane poco tempo per far entrare questi saperi nel negoziato- ha concluso Zoratti- e salvare il Protocollo di Kyoto senza scorciatoie. Noi, fino all'ultimo, non molleremo».
Questa volta il processo di costruzione del forum parallelo non ha avuto un percorso facile ed ha prodotto un Forum internazionale della giustizia climatica e dialogo dei popoli, dialogo climatico, con tutte le realtà della rete Climate Justice Now che organizzò il Klimaforum a Copenaghen con attività dal 4 al 10 dicembre. Convegni e seminari sui vari temi, dai mutamenti climatici, alla giustizia climatica, al diritto di accesso all'acqua, ai profughi ambientali, alle relazioni tra mutamenti climatici e agricoltura, con appunto presenze di tutte le realtà del movimento mondiale altermondialista, ambientalisti, sindacati, agricoltori, il mondo del Commercio equo e solidale, le ONG più tradizionali. Le richieste che escono riguardano il raggiungimento di accordi con misure particolarmente stringenti, l'assunzione di responsabilità da parte di tutti i Paesi con maggiori impegni da parte dei Paesi che hanno inquinato di più e che oggi inquinano di più, il non azzeramento del Protocollo di Kyoto a partire dagli impegni presi e non rispettati, una rimessa in discussione seria dei crediti di emissione, la richiesta del rispetto dei diritti di quei tanti Paesi particolarmente poveri che pagano già i prezzi più alti delle conseguenze dei mutamenti climatici. La richiesta di uscire dalla stagione dei combustibili fossili con politiche di risparmio energetico, efficienza e produzione da fonti rinnovabili e pulite. La richiesta di politiche tese pure a mitigare le conseguenze dei mutamenti nei confronti dei paesi più poveri. Le attività sono iniziate all'arrivo di alcune carovane promosse nei giorni precedenti su questi temi e su alcune vertenze particolarmente importanti, dagli stessi organizzatori.
Ha anche prodotto un altro luogo che è un accampamento di Via Campesina dove ci sono altri convegni su temi simili, e infine molto più fuori dalla città e in parte anche molto isolato un terzo luogo chiamato Klimaforum, che si richiama a posizioni molto più integraliste e anche più disinteressate ai lavori ufficiali della Cop. Certo che tutto ciò ha fatto pagare qualche prezzo in più alla partecipazione che non è stata questa volta quella che abbiamo visto spesso in questi ultimi anni.
Nelle stesse ore arrivava una scossa al Summit Onu portata dalla Cina, che dopo le dichiarazioni su possibili impegni volontari ma vincolanti, ha aperto scenari insospettabili. I principali effetti sono ipotizzabili sugli Usa ma anche su Canada e Giappone, ma quello che viene però a "scricchiolare" è lo stesso impianto Onu. Ed è qui che si giocherà la vera battaglia. All'indomani dell'annuncio di Pechino, infatti, che potrebbe prevedere anche un meccanismo interno di quote di emissione, si é aperta la strada per quello che in Messico definiscono il "Paquete de Cancun", e in cui ci si dice pronti a prendere accordi vincolanti sulla base del testo. Ma questa viene letta, soprattutto dal movimento dei popoli, che ha marciato sul Summit, affiancato dai paesi dell'alternativa bolivariana (Alba) con l'Ambasciatore Solon in testa, come un'ipotesi ad alto rischio. La paura è che questa dichiarazione possa avvenire al di fuori della Convenzione Onu mentre i movimenti vogliono un accordo targato Nazioni Unite, e vedono nel taglio della Co2 l'unica soluzione per il futuro. Oltre all'ipotesi della Dichiarazione di Cancun, proseguono i lavori tecnici dai quali dovranno scaturire i singoli mini-accordi. Tra questi il capitolo foreste è pressoché sostanzialmente chiuso con il meccanismo dei Redd+, dove Redd sta per riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado e il più anche per l'incentivo alla gestione corretta del patrimonio verde del Pianeta. Ora la parola passa ai ministri ed il nostro Paese è previsto per il 9 dicembre, nella sessione mattutina. La ministra dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, appena giunta in Messico, ha dichiarato che l'Italia onorerà l'impegno di aiuti ai paesi poveri per 200 milioni di euro, la tranche 2010 di 600 milioni che rientrano nel pacchetto di aiuti Ue per 2,5 miliardi.