
[16/12/2010] News
Il Delta del Po ha una naturale vocazione a essere Parco nazionale. Certamente non è un imperativo categorico, poiché le forme istituzionali sono importanti in sé ma non meno importante è ciò che nei fatti viene messo in opera. Tuttavia la forma ‘Parco nazionale' è qualcosa di affermato nel mondo e, al di là delle straordinarie difficoltà che i Parchi nazionali incontrano in Italia in questo momento, si deve pensare che il Bel Paese non potrà fare a meno di una rete di aree protette di valenza nazionale e internazionale che completino l'autorevolissimo biglietto da visita che il nostro paese, con le sue città d'arte, offre ai turisti, agli amanti della natura e della cultura di tutto il mondo.
Mi sembra che vi siano due punti che non vengono considerati da parte di chi difende l'attuale divisione tra due parchi regionali del Delta del Po o (peggio) pensa a future ulteriori disarticolazioni.
Il primo è la geografia e riguarda l'unitarietà fisica e ambientale del delta del più grande fiume italiano. Dice l'assessore veneto, Cavriani, che non vede "quali certezze in più verrebbero da un parco nazionale rispetto ad uno interregionale o a due nazionali, visto che i vincoli e le tutele che ne discendono sono le stesse". Ma un parco è ben più che vincoli e tutele, è un progetto di governo unitario del territorio in tutti i suoi aspetti che, per il Delta, sono innanzitutto quelli naturalistici e idrologici e poi quelli di carattere socio-economico, che riguardano gli usi del suolo e delle acque, la dotazione di infrastrutture, la promozione turistica. Le tutele hanno molte probabilità in più di essere efficaci, se sono concepite, messe in funzione, coordinate ad una scala adeguata rispetto al bene che si intende tutelare. Il bene poi, in questo caso, è quanto di più rilevante si possa dare a livello nazionale ed europeo: basti ricordare che dopo il grave disseccamento del delta del Nilo, sono rimasti, al di qua del Bosforo, i soli delta del Rodano, dell'Ebro e del Po a portare il loro essenziale contributo ecologico ad un Mediterraneo in grande affanno.
Il secondo punto è di carattere istituzionale e riguarda prerogative e funzionalità di un parco nazionale. Dice giustamente l'assessore dell'Emilia Romagna Freda che "gli enti locali sentono la necessità di partecipare alla gestione del territorio". Ma ‘parco nazionale' non vuol più dire ‘parco statale'. Tutt'altro. Gli organi che lo governano sono a maggioranza espressione delle istituzioni regionali e locali e il presidente stesso è l'espressione di un'intesa tra ministro e presidenti di Regione; i suoi piani generali sono approvati dalle Regioni; la concertazione è obbligatoria su tutti i suoi atti principali e, dopo la riforma del '98, l'istituzione stessa è atto d'intesa. Sono aspetti che - considerati insieme alle numerose sentenze della Corte Costituzionale sulla "leale collaborazione" tra Stato, Regioni e Autonomie Locali in materia di aree protette - dovrebbero tra l'altro spingere le Regioni ad un ben diverso protagonismo sulla questione parchi nazionali, rispetto alla persistente distanza che viene praticata. E comunque, rimanendo alla possibilità di gestire il territorio da parte di Comuni e Province, che sta a cuore a tanti e anche a chi scrive, la domanda giusta alla quale rispondere è: si gestisce davvero il proprio territorio quando esso è una piccola o piccolissima parte di un grande comprensorio ambientale a cui nessuno guarda in modo unitario e che quindi è alla mercè di ogni scelta ovunque presa? E' poi il caso, anche in materia di parchi, di ridurre la frammentazione e ampliare sì la superficie protetta senza inflazionare il numero degli enti di gestione. Per le città e i sistemi turistici che vanno da Venezia a Rimini, passando per Ferrara e Ravenna, un parco nazionale del Delta è un'opportunità in più. Per le popolazioni locali gli spazi di rappresentanza e autogestione possono essere comunque molto forti e pregnanti. E in ogni caso ciascuna Regione mantiene le leve fondamentali dell'uso del territorio.