[17/12/2010] News
LIVORNO. C'è della sostenibilità sulla nuvola? Ce lo siamo chiesti fin da quando abbiamo cominciato a sentir parlare di cloud computing e ieri finalmente abbiamo avuto una prima risposta. Intanto sfruttiamo wikipedia per spiegare ai profani di che cosa si tratta: con il termine cloud computing si intende un insieme di tecnologie informatiche che permettono l'utilizzo di risorse hardware (storage, CPU) o software distribuite in remoto.
In pratica rende disponibili all'utilizzatore le risorse come se fossero implementate da sistemi (server o periferiche personali) "standard". Dunque che effetti ha per un'azienda e per l'ambiente? Lo ha spiegato a Nova Antonella Ambriola, responsabile della tecnologia per il carrier di telefonia mobile 3.
L'azienda ha scelto di virtualizzare e portare nella nuvola, cioè nella sfera dei servizi di cloud computing, i suoi cinque centri di calcolo, che gestiscono la vita digitale della società, delle infrastrutture e quindi dei clienti. Sono 120 applicazioni che da fine giugno vengono consolidate, mentre i vecchi server vengono virtualizzati, spenti e dismessi. E i cinque centri di calcolo si sono ridotti a due e il numero di server dimezzato ha portato a un «risparmio di energia va al 50%, quello per hardware e software va al 50%, quello della complessità di gestione va al 30%».
Chi dunque sceglie la nuvola risparmia energia e materia e questo dimostra o meglio conferma due cose: la prima, è che l'innovazione può spingere verso la sostenibilità soprattutto quanto contemporaneamente riduce costi e impatti ambientali; la seconda, che la rete non è gratis da nessun punto di vista e che quindi anche per essa la sostenibilità va misurata scientificamente e non ideologicamente per non incappare in madornali errori.
Poi ci sono altri aspetti, che vanno di pari passo. Tra i tanti il più evidente è quello della sicurezza di questi dati che grazie alla rete ma anche a causa di essa si sono moltiplicati all'inverosimile e sono duplicabili e inviabili ovunque come l'ultimo caso di WikiLeaks (il cui nome forse qualcuno non sa ma significa fuga di notizie...) ci ha insegnato.
Non è un caso, infatti, che Richard Stallman, il guru del movimento statunitense del software libero, abbia detto già alcuni anni fa che l'uso del "cloud" è "peggiore della stupidità". E che lo abbia ribadito in questi giorni sottolineando come documenti, relazioni e database sarebbero in pericolo se gestiti da server di proprietà di terze persone.
Più la rete si ingrandisce, più consuma energia e materia, più elabora dati, più raccoglie notizie e le distribuisce nel mondo quasi senza filtro. Questa è una grande opportunità, ma anche uno tsunami se una persona non è in grado quel filtro di farselo da solo. Il tema non è nuovo, però è ancora attualissimo visto il successo crescente di social network e quant'altro vive con le informazioni delle persone comuni e anche delle aziende.
La rete, lo scrivevamo già anni fa, è un elettrodomestico. E il suo impatto sull'ambiente è notevole. La tecnologia stessa può ridurla ma deve combattere con se stessa, ovvero con il business selvaggio che vede nell'obsolescenza programmata delle macchine il suo acme più insostenibile. Il cloud computing è qualcosa che sta andando o potrebbe andare in senso opposto, perché riduce le macchine singole e relega l'aggiornamento dei software alla nuvola. Non sarebbe poca cosa, ma bisognerebbe che il mercato capisse fino in fondo (o fosse il più possibile orientato) che consumare per consumare o peggio ancora lo shopping per lo shopping tecnologico è una strada a vicolo cieco e una falsa illusione di crescita all'infinito...