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[22/12/2010] News
LIVORNO. Il magazine di tecnologia IEEE Spectrum Magazine, il giornale della associazione IEEE - Institute of electrical and electronic engineers, ha pubblicato oggi - riferisce l'Ansa - la classifica delle 11 tecnologie più "cool" di questi primi dieci anni del 2000. Smartphone, social network e telefonate via internet sono i primi tre posti assegnati e francamente senza grosse sorprese. Ma a parte il dibattito sul fatto che abbiano davvero migliorato la qualità della nostra vita, c'è chi potrebbe giurare il contrario, quello che ci interessa sottolineare è che a nessuno interessa - se non a giorni alterni - il prima e il dopo di queste tecnologie.
Non vogliamo fare il sermone natalizio, però constatare che queste invenzioni hanno forse fatto felici solo un pezzo di mondo (quello occidentale o più in generale quelli che queste tecnologie se le possono permettere) ci pare un fatto oggettivo. Che il rovescio della medaglia di queste apparecchiature - che noi tutti abbiamo sia ben chiaro - è rappresentato in larga parte da discariche immense di rifiuti nei paesi poveri, dovrebbe essere di dominio pubblico. Che nessuna di queste invenzioni abbia migliorato la vita degli ultimi crediamo non sia un'offesa per nessuno. Senza voler demonizzare alcunché "il vizio oscuro dell'occidente" di cui molto e bene ha scritto Massimo Fini è ancora tale.
Si obietterà che ora esistono leggi ed è vero, quale quella sui Raee appunto che hanno (o dovrebbero) migliorato le cose, ma come dimostra anche la recente inchiesta di Greenpeace sull'adozione del decreto sui rifiuti elettronici entrato in vigore lo scorso giungo: «A sei mesi di distanza, il 51% dei rivenditori hi-tech intervistati non adempie ancora all'obbligo di ritiro gratuito "uno contro uno" dei prodotti tecnologici usati a fronte dell'acquisto di un nuovo articolo».
E questo è solo un aspetto. Dove vadano i rifiuti elettronici, quanto venga effettivamente riciclato, non raccolto che è una fase della gestione integrata dei rifiuti e certo quella esaustiva, pare interessare davvero a pochi. Il criterio direttore della sostenibilità è ancora legato alle buone pratiche delle singole aziende, meglio di niente ovvio, ma pur sempre legato - non potrebbe essere altrimenti - a logiche di profitto: produco una tecnologia che risparmia energia e magari in larga parte riciclata, ma comunque per venderne di più e sempre con obsolescenza programmata e con un occhio alla moda.
Appena usciti continuano a costare molto, ma in pochi mesi sono alla portata dei più e vengono sostituite da altri che magari hanno solo qualche pixel in più che migliora la qualità delle fotografie o dei video, oppure sono tempestati di brillantini o si legano ad altri brand della moda.
Non si può insomma tacere poi sul fatto che le materie prime grazie alle quali queste apparecchiature funzionano, - le famose terre rare di cui greenreport si sta occupando da tempo - arrivano da paesi lontani quali Cina e Africa e pure di questo bisognerebbe almeno essere informati. Su come vengono estratte, sugli impatti ambientali, su quelli sociali. Sulla complessità, insomma, di quello che ruota attorno alla produzione di quel telefonino o di quel pc o di quelle tecnologie che appena abbiamo comprato sono già vecchie. Nessun luddismo, ma una richiesta e un invito a guardare ai veri costi della tecnologia per non far finta di niente. Per usare con parsimonia le cose. Per non esserne schiavi. Per non creare schiavi dall'altra parte del mondo.
L'Europa se ne sta occupando in qualche modo, ma è in questi settori che l'insostenibilità del bombardamento quotidiano del messaggio consumistico dello shopping per lo shopping fa i danni maggiori e mostra, a chi vuol guardare, l'insensatezza della ricerca di una crescita infinita. Che peraltro ha pure smesso da tempo di ridistribuire ricchezza del breve termine oltre a toglierne alle future generazioni in termini di risorse naturali.