[23/12/2010] News
LIVORNO. Ieri le borse hanno inflitto una pesante lezione alla Nike: un -6% a wall street motivato essenzialmente da due fattori distinti: intanto dal fatto che nei prossimi mesi gli ordinativi cresceranno soltanto dell'11% rispetto al 13% previsto, frutto di una minore crescita di domanda dai mercati in via di sviluppo. E poi perché negli ultimi mesi il costo del cotone è salito di oltre il 40% e questo per la multinazionale che confeziona le sue magliette sfruttando le risorse e la manodopera a basso costo dei paesi asiatici, significa una riduzione significativa degli utili netti, che nei tre mesi di settembre ottobre e novembre 2010 erano stati pari a 457 milioni di dollari (+ 22%).
Problemi grossi. Per tutti noi cittadini dei paesi sviluppati che attraverso fondi pensione, fondi assicurativi, fondi integrativi e mille altre scatole l'una dentro l'altra abbiamo investito senza ovviamente saperlo in azioni Nike.
Anche gli indiani hanno un problema "simile", perché sempre di commodities parliamo. A causa delle piogge record, nel giro di una settimana il prezzo delle cipolle (che per loro non è soltanto un "odore" costituisce una delle basi della loro cucina) è raddoppiato fino ad arrivare all'equivalente di 1,20 euro al chilo: prezzo insostenibile per un Paese che come ci ricorda oggi Il Sole 24 ore vede circa 420 milioni di persone vivere sotto la soglia di povertà, magari perché lo stipendio che gli viene riconosciuto per tessere le maglie Nike non basta più a pagarsi una cipolla al giorno! Il governo indiano comunque, sempre più cinese sotto certi aspetti, non ha perso tempo bloccando l'export di cipolle e togliendo i dazi per i bulbi importati dal Pakistan.
Altra commodity altra pesante ingerenza finanziaria: al London metal exchange le regole evidentemente non sono bastate a frenare la fame speculatrice di un "trader misterioso", come lo definisce il Corriere della Sera, che è riuscito ad acquistare l'80-90% delle scorte di rame giacenti nei magazzini londinese che costituiscono oltre la metà delle riserve mondiali. Come dire che questo trader, misterioso perché come ha ben spiegato Luciano Gallino nel suo ultimo libro "Con i soldi degli altri" (vedi recensione, link a fondo pagina) «la contraddizione sta appunto nel fatto che i proprietari ultimi del capitale di questi "investitori istituzionali", i lavoratori stessi, chiunque siano, non hanno nessun controllo sul modo in cui questo capitale viene investito, mentre gli investimenti finiscono sovente per avere ricadute negative su altri lavoratori. Le politiche di investimento dei fondi pensione, e anche dei fondi di investimento, sono uno dei fattori chiave delle delocalizzazioni di ogni tipo, della pressione sui salari, sul peggioramento della distribuzione del reddito. Il reddito è stato fortemente ridistribuito negli ultimi 30 anni ma dal basso verso l'alto con punte che in Europa si aggirano sugli 8-10 punti di PIL passati dai salari alle rendite e in questo hanno peso anche i fondi pensione e i fondi di investimento (... ) I fondi pensione sono diventati sempre più attivi nel senso di pretendere rendimenti maggiori. Rendimenti maggiori di capitali azionari e obbligazionari che cosa significa? Significa far salire il corso delle azioni e delle obbligazioni e per far salire i corsi borsistici sono molto più importanti manovre finanziarie che non investimenti produttivi, è più importante il direttore finanziario che non il direttore della produzione. È più importante il comunicato che annuncia certe operazioni che non l'esecuzione di quelle operazioni».
Una contraddizione a cui si aggiunge il paradosso, ben individuato da Jean Paul Fitoussi nel suo editoriale sul Sole 24 ore di oggi: « Al culmine della crisi, i governi avevano l'opportunità di creare una nuova infrastruttura finanziaria globale, ma se la sono fatta scivolare tra le dita. Il fatto che molte economie occidentali siano uscite dalla recessione non dovrebbe indurci a credere che la crisi sia stata solo un breve interludio, e che il mondo post-crisi possa ritornare allo status quo. Sono in molti a voler riscrivere la storia di questa crisi descrivendo gli effetti come se fossero le cause, e a considerare i governi che l'hanno gestita responsabili di averla fatta scoppiare (....)». E tutti pronti a saltare sulla locomotiva che ha ripreso a marciare nella stessa direzione, verso il muro che delimita fisicamente il pianeta.