
[03/01/2011] News
PISA. Il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica è un messaggio di altissimo profilo, che dedica il suo messaggio ai giovani «perché i problemi che essi sentono e si pongono per il futuro sono gli stessi che si pongono per il futuro dell'Italia».
Ma Napolitano non blandisce i giovani: chiede loro di «saper guardare in positivo al mondo com'è cambiato, e all'impegno, allo sforzo che ci richiede».
Un punto, soprattutto, del discorso di Napolitano credo rappresenti una campana che suona per noi. Eccolo: «Nelle condizioni dell'Europa e del mondo di oggi e di domani, non si danno certezze e nemmeno prospettive tranquillizzanti per le nuove generazioni se vacilla la nostra capacità individuale e collettiva di superare le prove che già ci incalzano. Tanto meno, si può aspirare a certezze che siano garantite dallo Stato a prezzo del trascinarsi o dell'aggravarsi di un abnorme debito pubblico. Quel peso non possiamo lasciarlo sulle spalle delle generazioni future senza macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale. Trovare la via per abbattere il debito pubblico accumulato nei decenni; e quindi sottoporre alla più severa rassegna i capitoli della spesa pubblica corrente, rendere operante per tutti il dovere del pagamento delle imposte, a qualunque livello le si voglia assestare. Questo dovrebbe essere l'oggetto di un confronto serio, costruttivo, responsabile, tra le forze politiche e sociali, fuori dall'abituale frastuono e da ogni calcolo tattico».
Credo che questo richiamo forte del Presidente sia quello da cui oggi sia necessario partire per pianificare qualunque serio intervento rivolto a costruire il futuro delle nuove generazioni e, quindi, del Paese. Agire per rimediare a quanto di male è stato fatto nei decenni '70 e '80 in termini di creazione di debito pubblico (con responsabilità non piccole, è necessario riconoscerlo, anche delle forze dell'allora centro-sinistra e sinistra) è una priorità ineludibile per il Paese. Far pagare le tasse a tutti è certo una necessità (anche su questo abbiamo una colpa: quella di non avere sostenuto adeguatamente - anzi, di avere a volte considerato con un certo fastidio - le affermazioni e i programmi rigorosi di galantuomini come il compianto ex-ministro Padoa-Schioppa), ma non basta.
Lo dice chiaramente un altro galantuomo, il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, che insiste con forza e tenacia sulla necessità di riportare al centro del dibattito di politica economica il grave problema di crescita dell'economia italiana e di creare sviluppo. Diceva alcune settimane fa Draghi in un intervento ospitato sul Sole 24 ore.
«Il benessere di una nazione non si misura solo con il Pil, eppure la difficoltà dell'economia italiana di crescere e di creare reddito non deve smettere di preoccuparci» perché «ci potremmo trovare di fronte a un bivio» fra il ritorno allo sviluppo e una lunga fase di stagnazione, se non di declino, come quello che toccò in sorte al nostro Paese nella seconda metà del Seicento, quando gli italiani, pensando di rimanere ricchi per sempre, si ostinarono a comportarsi da rentier" (coloro che vivono di rendita)».
Senza sviluppo, non saremo in grado di offrire ai giovani le prospettive che essi si aspettano per il loro futuro.
E' quella dello sviluppo, quindi, la questione centrale e prioritaria sulla quale riflettere e per la quale - soprattutto - proporre soluzioni concrete e percorribili anche e specificamente per il nostro territorio.
Di questo siamo tutti ben consapevoli.
Ma bisogna fare ancora di più e, soprattutto, bisogna riuscirci.
* docente di Bioingegneria industriale presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa