[03/01/2011] News
LIVORNO. I ricercatori dovranno rivedere tutti i loro studi sui cambiamenti climatici? Potrebbe essere il risultato di una scoperta riguardati le "polveri" in atmosfera che, come già si sapeva, giocano un ruolo importante nelle variazione delle temperature del pianeta. Alcune particelle riflettono la luce solare, impedendo al calore di arrivare, mentre altre lo "imprigionano, contribuendo così al global warming.
Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) ha pubblicato uno studio di Jasper Kok, uno scienziato del National center for atmospheric research (Ncar), intitolato : "A scaling theory for the size distribution of emitted dust aerosols suggests that climate models underestimate the size of the global dust cycle" secondo il quale nella nostra atmosfera ci sarebbe molta più presenza di micro particelle polvere di quanto si pensasse fino ad ora. Gli scienziati sono arrivati a questa conclusione... rompendo del vetro.
Da molto tempo si sa che alcuni materiali, come il vetro, la roccia o i nuclei, si rompono e fratturano secondo modelli prevedibili: una cosa conosciuta come "invarianza di scala" o "auto-similarità". Kok ha avuto l'intuizione di utilizzare le formule matematiche dei modelli di fatturazione per stimare il numero di particelle di polvere nell'atmosfera e la loro dimensione.
Lo studio finanziato dalla National science foundation Usa, si rifà ad una ricerca del 1983 di Guillaume d'Almeida e Lothar Schüth, dell'Istituto di meteorologia dell'università di Mainz in Germania, che hanno misurato la dimensione e distribuzione del particolato nelle terre aride, e Kok si è reso conto che qui risultati concordano con le formule matematiche della fatturazione del vetro: «Infatti l'idea che tutti questi oggetti si fracassino nello stesso modo è una cosa magnifica - spiega il ricercatore - E' un modo per la natura di creare ordine nel caos».
Insomma, le particelle di sporco e polvere si rompono seguendo lo schema del vetro e di altri oggetti fragili, creando un elevato, ed imprevisto, numero di frammenti. «Per quanto siano piccoli, i conglomerati di particelle di polvere nei suoli si comportano allo stesso modo rispetto ad un impatto come un bicchiere lasciato cadere su un pavimento della cucina - spiega Kok - Conoscere questo schema ci può aiutare a mettere insieme un quadro più chiaro su a cosa sarà simile il nostro clima futuro. Lo studio può inoltre migliorare la precisione delle previsioni meteorologiche, soprattutto nelle regioni soggette a polvere. Le particelle di polvere influenzano le nubi e le precipitazioni, così come le temperature».
La ricerca di Kok si è concentrata su un tipo di particelle trasportate dall'aria conosciute come "mineral dust" che vengono generalmente emesse quando i granelli di sabbia sono sollevati dal terreno, mandando in frantumi lo sporco e inviando frammenti in aria. I frammenti possono essere grandi circa 50 micron di diametro, più o meno lo spessore di un capello umano.
«Le particelle più piccole, che sono classificati come "clay" (argilla) e sono piccole 2 micron di diametro, restano nell'atmosfera per circa una settimana, girando gran parte del globo ed esercitando un'influenza sul raffreddamento, riflettendo indietro il calore del sole nello spazio - sottolinea il Ncar - Le particelle più grandi, classificate come "silt" (limo), precipitano fuori dall'atmosfera dopo pochi giorni. Più grande è la particella, più tenderà ad avere un effetto di riscaldamento sul clima».
La ricerca di Kok indica che il rapporto di particelle di silt e particelle di clay è da 2 ad 8 volte superiore a quella rappresentata nei modelli climatici. Le quantità di particelle "limo" , che arrivano anche a mille miglia dalle regioni desertiche, vanno quindi rivalutate nei computer models se si vogliono produrre migliori proiezioni sul clima nelle regioni desertiche, come il sud-ovest degli Usa e il nord Africa.
«Ulteriori ricerche saranno necessarie per determinare se le temperature future in queste regioni aumenteranno più o meno di quanto attualmente indicato da modelli al computer - si legge sul sito del Ncar - I risultati dello studio inoltre suggeriscono che gli ecosistemi marini, che richiamano il biossido di carbonio dall'atmosfera, possono beneficiare sostanzialmente di più di particelle di ferro nell'aria di quanto precedentemente stimato. Il ferro migliora l'attività biologica, a beneficio della catena alimentare dell'oceano, comprese le piante che assorbono carbonio durante la fotosintesi. Oltre a influenzare la quantità di calore solare nell'atmosfera, le particelle di polvere si depositano anche sui sulle coperture di neve in montagna, dove assorbono il calore e accelerano lo scioglimento».