[05/01/2011] News
LIVORNO. Questa volta a lanciare l'allarme non sono le solite Ong umanitarie ma Giuseppe Politi, il presidente della Confederazione italiana agricoltori (Cia) che sente puzzo di una nuova speculazione e teme gli effetti che potrà avere una pericolosa escalation dei prezzi. Per i Paesi più poveri si annunciano ancora conseguenze pesanti, come quelle che silenziosamente portarono alla morte per fame migliaia di persone solo un paio di anni fa, con il preludio speculativo sui cereali e sul riso che annunciava non compreso la crisi che sarebbe arrivata solo pochi mesi dopo. Secondo la Cia è «Allarmante è lo scenario sul fronte del settore cerealicolo, dove si registra una forte diminuzione produttiva. L'Ue deve predisporre un Piano adeguato per gli approvvigionamenti: un aspetto che la riforma Pac post 2013 non può ignorare».
Il quadro della spirale dei rincari tracciato da Politi è allarmante: «Minore offerta, domanda in costante aumento e riduzione degli stock. Sono questi gli elementi che fanno temere nuove possibili tensioni nel 2011 nei mercati delle commodities agricole (grano, mais, soia e zucchero) e, in particolare, portano a prevedere prezzi ancora in aumento rispetto ai livelli già elevati registrati nella seconda metà del 2010. Il rischio è quello di favorire misure neo-protezionistiche e di alimentare nuove manovre speculative che avranno effetti deleteri sia per i produttori agricoli che per i consumatori. Ma anche in Italia potremo subire pesanti conseguenze. Il nostro Paese, fortemente dipendente dall'estero (per il 40% di grano duro, per il 60% cento per di grano tenero, per il 15% di mais, per il 90% di soia e per il 50% di carni), corre il pericolo di pagare un conto salato sia in termini di maggiori costi (quelli delle imprese agricole registrano aumenti superi al 7%) che di minore disponibilità».
Secondo il presidente della Cia, «Il dato che oggi emerge è che per le principali commodities agricole esiste una forte relazione tra le dinamiche dei mercati mondiali e quello nazionale. L'‘incontrollata' volatilità dei prezzi è la questione del sistema agroalimentare. È una questione che impone due comportamenti: allargare lo sguardo a quanto avviene sui mercati mondiali; indicare soluzioni strutturali per mettere in campo strumenti e regole di gestione dei mercati. Le dinamiche dei prezzi delle principali commodities agricole sono state caratterizzate recentemente da due principali fenomeni. Il primo è da collegare all'evoluzione di alcune importanti variabili macroeconomiche. Il secondo attiene, invece, alle particolari condizioni in cui operano i mercati delle commodities agricole. E' opinione che solo dall'esame congiunto di entrambi i fattori sia possibile tracciare un quadro sull'evoluzione dei prezzi delle commodities nel 2011. E' noto che il ciclo dei prezzi in dollari delle commodities è fortemente condizionato dalle dinamiche del tasso di cambio del dollaro. Una prima considerazione che si può trarre è, quindi, quella che se nel 2011 assisteremo a ulteriori deprezzamenti della valuta Usa, i prezzi delle commodities agricole (espresse in dollari) non potranno non risentirne, accentuando una spinta al rialzo che ha già caratterizzato il secondo semestre del 2010. Un secondo fattore macroeconomico è legato alla politica monetaria cinese. I recenti problemi di inflazione, soprattutto nella componente alimentare, hanno portato Pechino ad intraprendere politiche valutarie più restrittive. Se tali politiche divenissero più aggressive nel 2011 e incidessero sulla domanda cinese, ciò potrebbe, invece, costituire un freno alla dinamica dei prezzi delle commodities. Comunque, una delle cause dell'incremento dei prezzi delle commodities cerealicole nella seconda metà del 2010 è da attribuire ai problemi di siccità in Russia e Ucraina. Questioni hanno portato ad una forte riduzione della produzione cerealicola e hanno indotto questi paesi ad un blocco dell'export per tutto il 2010. Diversi segnali indicano che tale blocco sarà esteso anche al primo semestre del 2011. La minore produzione della Russia e dell'Ucraina non verrà compensata, se non parzialmente, da una maggiore offerta. Infatti, le ultime previsioni, indicano per la campagna 2010/2011 una riduzione dell'offerta mondiale di frumento (834 milioni di tonnellate nel 2011 contro gli 848 milioni di tonnellate nella campagna 2009/2010) e una maggiore domanda sempre per il periodo 2010/2011 (665 milioni di tonnellate contro i 652 milioni nel periodo 2009/2010). I due fenomeni porteranno, dunque, ad una riduzione delle scorte cerealicole mondiali».
Per Politi «E' possibile, inoltre, che in tale scenario possano intervenire fattori legati alla speculazione finanziaria che, anche se i pareri tra gli economisti sono contrastanti, sembra abbia avuto un ruolo nel condizionare i prezzi delle commodities durante la "bolla" del 2007-2008. Secondo un recente studio, oggi l'ammontare di fondi istituzionali e monetari investiti in commodities è pari a 320 miliardi di dollari, importi di 30 volte superiori se confrontati rispetto ai livelli del 2003. Prospettive di incrementi dei prezzi potrebbero innescare fenomeni puramente speculativi con ulteriori spinte verso l'alto dei prezzi. Davanti a questa possibile nuova escalation che ancora una volta può sconvolgere gli equilibri commerciali mondiali, l'Europa deve cominciare a correre ai ripari, cercando di evitare quanto accaduto nel 2007-2008. Prima di tutto bisogna impegnarsi per evitare che alcuni paesi tornino ad alzare le barriere doganali e rilancino la politica dei dazi che non farebbero altro che alimentare un ritorno al protezionismo che in questa particolare fase avrebbe effetti devastanti, sia in termini inflazionistici che monetari. Occorre imboccare altre strade. Nella discussione della riforma della Politica agricola comune post 2013 bisogna guardare con maggiore attenzione agli approvvigionamenti. Non è, infatti, possibile che un colosso mondiale come l'Europa non debba avere scorte alimentari. Bisogna, pertanto, procedere su strade diverse. La questione degli approvvigionamenti diviene di primaria importanza, non solo per soddisfare le esigenze dei consumatori, ma anche per dare certezze ai produttori agricoli. Da qui l'opportunità di un adeguato Piano».
Un allarme condiviso anche dall'altra grande associazione agricola italiana, Coldiretti che, in un'analisi sugli effetti delle materie prime agricole sul raddoppio dell'inflazione rilevata dall'Istat, evidenzia un aumento dei prezzi alimentari negli ultimi mesi dell'anno: «Il grano al Chicago Board of Trade, punto di riferimento del commercio mondiale, è stato quotato a inizio 2011 circa 8 dollari per bushel (22 centesimi al chilo) il 40% in meno del massimo storico che è stato di circa 13 dollari per bushel nella primavera 2008. Una riduzione sostanziale si è verificata anche per il mais che è oggi quotato circa 6,2 dollari per bushel mentre nel 2008 aveva raggiunto valori superiori ai 7,2 dollari per bushel. L'aumento dei prezzi delle materie prime che si è verificato nel corso del 2010, che è stato pari del 25% per il grano e del 30% per il mais, non ha consentito dunque di recuperare il calo subito nell'anno precedente. Il vero problema è quello di contenere la volatilità delle quotazioni dei prodotti agricoli che sono sempre più fortemente condizionate dai movimenti di capitale che si spostano con facilità dai mercati finanziari a quelli dei metalli preziosi come l'oro fino alle materie prime come grano, mais e soia. Speculazioni sul cibo che stanno "giocando" senza regole sui prezzi delle materie prime agricole dove hanno provocato una grande volatilità impedendo la programmazione e mettendo a rischio le coltivazioni e l'allevamento in molti Paesi. Garantire la stabilità dei prezzi in un mercato a domanda rigida come quello alimentare è un obiettivo di interesse pubblico che va sostenuto con l'introduzione di interventi di mercato innovativi come le assicurazioni sul reddito nell'ambito della riforma di mercato della politica agricola comune. L'andamento attuale dei prezzi del grano non giustifica dunque alcun rincaro in Italia sul pane o sulla pasta sia perché le quotazioni sono contenute ma soprattutto il pane viene già pagato oltre 10 volte il prezzo del grano e il cui costo dipende per il 90% da fattori diversi dalla materia prima. Per fare un chilo di pane occorre circa 1 kg di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l'acqua per ottenere il prodotto finito. Con il prezzo medio del pane comune che, secondo Sms consumatori, è di 2,75 euro al chilo c'è dunque un aumento di ben oltre il 1000 % nel passaggio dal grano al pane che giunge sulle nostre tavole e quindi non ci sono margini per ulteriori speculazioni. Per contrastarle queste logiche è nata la più grande società di europea di trading dei cereali di proprietà degli agricoltori, varata a luglio, che ha il compito di gestire oltre 20 milioni di quintali di prodotto tra grano duro destinato alla produzione di pasta, grano tenero per il pane, girasole e soia, esclusivamente di origine italiana e garantiti non ogm. La società denominata "Filiera Agricola Italiana" è partecipata da 18 Consorzi Agrari, 4 cooperative, 2 organizzazioni dei produttori, una società di servizi di Legacoop e Consorzi Agrari d'Italia».