[07/01/2011] News
LIVORNO. Dunque, la crisi che non c'era... «Non è finita», a dirlo è Giulio Tremonti, che chiede che «L'Europa risorga» e che accusa i governi di aver pensato solo a salvare le banche che hanno provocato la crisi finanziaria coccolando la speculazione. E' strano che a questo gattopardo padano nessuno faccia notare che proprio lui, prima di convertirsi ad un improbabile protezionismo italiano e poi europeo, era tra i principali negatori della crisi, che proprio lui era tra coloro che più si sono battuti contro l'euro (fino ad accogliere un partitino "No Euro" nelle fila del centro-destra vincente e che citava le massime tremontiane come Bibbia salvifica) e che è proprio lui il garante e socio in spirito e idee a quella Lega Nord che ha fatto sempre delle più retriva battaglia contro l'Europa uno dei pochi punti fermi della sua cangiante bandiera secessionista-populista. Solo Berlusconi si adira (per poi smentirlo naturalmente) perché Tremonti svela impietosamente la maschera di un ottimismo senza basi e scioglie il cerone del ghe pensi mi nel fuoco della crisi internazionale.
Tremonti non è sciocco e non parla solo a nome di sé stesso, ma di una buona fetta dell'elite della destra economica vincente, quando guarda i preoccupanti dati della disoccupazione di una generazione di giovani italiani (certificata oggi dall'Istat al 28,9%) senza lavoro e futuro quando spiega: «E' come vivere in un videogame, compare un mostro, lo combatti, lo vinci, ti rilassi e subito spunta un altro mostro più forte del primo. Si dice che va tutto bene, ma ne siamo proprio sicuri?».
Una bella botta al provincialismo parrocchiale/pecoreccio di Berlusconi, ma Tremonti non dice che lui fa parte di quella schiera di entusiasti progettisti del videogame impazzito che genera mostri dal sonno della ragione della politica, vampirizzata dalla finanza e dall'economia globalizzata predatoria. I mostri a cui pensa Tremonti non sono probabilmente solo metaforici ed economici, ma si incarnano in chi preme alle nostre frontiere, dove scola la disperazione del mondo e che il crudele videogame messo in mano a Muammar Gheddafi da Bossi, Maroni e Berlusconi riesce a malapena a tener lontano solo dalle nostre coste. Le ricette alla Marchionne, del governo o della nostra tremebonda e accecata classe dirigente che ci indicano nuove strade che portano in Cina senza assumersi mai, nemmeno per un secondo, le responsabilità del fallimento di un modello politico-imprenditoriale-economico che ci era stato indicato come il migliore ed unico possibile, non tengono conto della saturazione già avvenuta di mercati che dovremmo conquistare (come la Cina degli ingorghi chilometrici e dello smog eterno o l'America che non vuole le utilitarie), non sembrano tener conto della mutazione genetica continua di una crisi che non ha più centri di controllo comuni e conosciuti, ma tanti "piccoli" focolai che riemergono esplosivi dalle ceneri in luoghi inaspettati di questo strano e sconosciuto mondo multipolare.
La crisi bussa forte ad esempio in due Paesi amici dell'Italia, l'Algeria e la Tunisia, ai quali nel nome degli affari abbiamo perdonato ogni violazione dei diritti dei loro popoli, dove la moltitudine dei giovani e dei poveri si ribella all'aumento del prezzo del cuscus e della benzina ma anche ad un regine eterno e crudele come quello di Ben Alì in Tunisia ed alle promesse di una democrazia mai compiuta e troppo spesso corrotta e militarizzata come quella algerina.
L'epicentro della nuova crisi, del nuovo mostro spuntato nello spossante videogame impazzito di Tremonti, sembra di nuovo essere il continente più povero e depredato del pianeta: l'Africa. Ma il nuovo mostro somiglia terribilmente, proprio come nella ripetizione del videogioco meno fantasioso, a quello che fece irruzione nel 2007, partendo proprio dai Paesi arabi, segnalando una crisi che nessuno comprese, ma che si accatastava nelle pance gonfie dei milioni di bambini morti per fame e nelle capienti casseforti delle banche e della grande speculazione internazionale, che preparavano le riserve per affrontare una crisi della quale stava già bruciando la lunga miccia che avevano innescato e che avrebbe seminato con il suo scoppio il pianeta e le economie "vincenti" dei pazienti e mai domi mostri tremontiani.
Su una cosa l'indisturbato camaleonte Tremonti ha ragione: nessuna delle ragioni di fondo che hanno provocato la crisi è stata davvero affrontata e la lenta politica ha rifornito le banche (e quindi la speculazione e la rendita planetaria) ma anche le industrie decotte di denaro fresco tolto dalle tasche di contribuenti che hanno (e non tutti) l'unica colpa di aver creduto che il videogioco comprato in cabina elettorale fosse una fiaba con il lieto fine assicurato nel «migliore dei mondi possibile» e non un sanguinoso, velocissimo ed eterno "sparatutto" dove alla fine i vincitori sono sempre di meno e le vittime si accatastano a miliardi fuori dallo schermo.
Forse i mostri di Tremonti sono la versione digitale di quegli spiriti animali del libero mercato che ancora oggi, secondo il presidente della Banca mondiale Robert Bruce Zoellick, sono gli unici in grado di salvare il mondo dopo averlo divorato nelle sue risorse e nel suo ambiente. Il problema è che quello che a Parigi, nelle libere stanze dove la ben pasciuta creme della finanza e della politica internazionale ha parlato del futuro del capitalismo, si e fatto finta di non sapere è che l'impoverimento ed il sottosviluppo sono ormai ben annidati nel cuore profondo dell'America e dei Paesi ricchi, cambiando consumi e mortificando desideri ed aumentando paure e rabbia ma anche la voglia di cambiare e contare, come ben descrive The Nation nei grafici che affollano l'indagine "How the Recession Changed Us" ed ancora più efficacemente in pochi sconfortanti attimi il "tetris" planetario "Debtris, information is beautiful", che rivela come al centro della ricetta per non sprofondare nella crisi ci sia ancora la guerra come igiene del mondo e come sostituzione con altri mezzi della diplomazia (e come applicazione della ricetta economica che ci ha portato alla crisi).
Forse i mostri che Tremonti vuole abbattere con il suo immaginario laser padano sono fabbricati proprio dalle tessere discordanti di quel puzzle impazzito e forse senza quei mostri non esisterebbe il tetris ed il videogioco e Tremonti non potrebbe stare comodamente in televisione a sparare dichiarazioni, mentre nelle piazze di Tunisi e ad Algeri e nei deserti dell'Africa, nelle fabbriche-mondo della Cina e di Torino, Pomigliano, Termini Imerese, dell'Eaton e dell'Isis, uomini e donne in carne ed ossa affrontano a mani nude gli animali del libero mercato senza più cavezza.