
[10/01/2011] News
LIVORNO. Scrivevamo solo mercoledì nel nostro editoriale "Tempi geologici, tempi storici, tempo reale" (vedi link) che «la crisi finanziaria è scoppiata in larga parte a causa di speculazioni e dopo il crack tutti hanno cominciato ad invocare giustamente regole. I tempi in una democrazia partecipata per fare queste regole - e parliamo sempre come se tutto filasse liscio - sono nella migliore delle ipotesi calcolabili in mesi, ma di solito si contano in anni.
Anche comprimendoli al massimo, però, non arriveremo mai e poi mai alla velocità con cui le "macchine" che regolano l'economia finanziaria elaborano e decidono dell'economia mondiale. Poche persone e difficilmente identificabili con un semplice click spostano montagne di miliardi da un posto all'altro del pianeta, scommettono su commodity sulla scia di rumors e di ipotesi matematiche di fronte alle quali nessuno è in grado di porre resistenza.
Non ci si può appellare nemmeno alla cattiva volontà, perché qui siamo di fronte all'apprendista stregone che in sostanza ha perso il controllo dei suoi poteri demandati interamente alle macchine ormai sue protesi irrinunciabili».
Non temevamo di averla detta grossa anche se c'era il rischio che qualcuno potesse accusarci di evocare scenari da Blade Runner. La conferma di aver focalizzato un tema centrale della crisi è arrivato, però, quasi inaspettatamente va detto, dal Corriere della Sera di sabato e se vogliamo è ancor più "inquietante" di quello che sosteniamo noi visto che fa anche i nomi con tanto di numeri.
Scrive infatti Federico Fubini in "Gli otto che dominano Wall Street. Con software alla velocità della luce" che "In un anno l'utile netto di Getco fluttua, secondo gli esperti, fra quello di Volkswagen e quello dell'intera Fiat pre-scissione. Come minimo è di 400 milioni di dollari ma magari anche molto più di un miliardo: nessuno lo sa con esattezza, perché la società non lo comunica". Ma cos'è Getco a differenza di Fiat e Volkswagen che sappiamo tutti produrre auto? «(...) nessuno lo sa. Una descrizione plausibile è quella che segue: compra e vende titoli finanziari attraverso software che operano senza intervento umano».
Ed ecco alcuni numeri: «Secondo Laurent Grillet-Aubert dell'Amf, l'autorità di Borsa di Parigi, questi scambi avvengono (o sono modificati, oppure cancellati) in pochi millesimi di secondo e la loro velocità di esecuzione " è prossima ai limiti fisici determinati dalla velocità della luce ". Getco non è uno hedge fund. È uno dei rappresentanti di maggior successo di una nuova famiglia di protagonisti dei mercati: gli operatori " a alta frequenza " (high frequency traders). Sono nati circa dieci anni fa, sono basati in capitali un po' periferiche per la finanza globale come Kansas City, Amsterdam o Chicago e i loro nomi sono a volte bizzarri e per lo più sconosciuti: Jump Trading, Fat Trading, Sun Trading, Optiver, Tradebot. Sono pochi, non più di otto o dieci, e nessuno conosce molto di loro, se non la nota abitudine di lavorare attraverso computer che comprano e vendono, in media, in tre o quattro millisecondi. La loro discrezione serve a negare appigli alla concorrenza».
Se poi qualcuno pensasse che si sta trattando di lievi distorsioni del mercato o giù di lì è bene sapere anche che «per i principali analisti del settore, da Tabb Groug a Rosenblatt Securities, questi gruppi ogni giorno arrivano a pesare per il 60-70% dei volumi di Wall Street, almeno il 35% in Europa e stanno crescendo in fretta».
Secondo poi Grillet-Aubert dell'Amf «in teoria sono in grado di registrare profitti massimi di 3,4 miliardi di dollari a Wall Street in dieci secondi lucrando su scarti di 0,0024 dollari per azione. Perché i programmi elettronici dello high frequency trading fanno soprattutto questo: rilevano differenze infinitesimali fra i prezzi dello stesso titolo quotati in mercati diversi o fra domanda e offerta, e scambiano a raffica incassando miliardi di volte la stessa minima differenza. Funziona perché - fino a che - restano in otto o dieci al mondo a fare questo mestiere. Dominano i volumi degli scambi, pesano fortemente sui prezzi dei titoli principali e assicurano liquidità al sistema».
La doppia fregatura, quindi, è che oltre al fare il bello e il cattivo tempo in spregio a ogni regola democratica alla velocità della luce, fanno sì che il sistema "virtualmente" si regga. Fubini sembra dire inoltre che se fossero più di otto o dieci a fare questo mestiere, le cose andrebbero diversamente, ma il dilemma (o almeno uno dei tanti) è: meglio combatterli, oppure moltiplicarli?
Introduciamo poi un altro elemento che poi è anche più attinente all'economia ecologica e che approfondiremo più avanti: con le materie prime in costante aumento generato sia dalla loro progressiva scarsità sia dalle speculazioni, ma in totale assenza o quasi di una regolamentazione che ne possa rendere "sostenibile" l'approvvigionamento per tutti; con questa ulteriore informatizzazione della finanziarizzazione dell'economia che rende il mercato delle materie prime così incontrollabile e ancor più drogato dalle macchine di quegli 8-10, quale ruolo hanno o dovrebbero avere le materie derivanti dal riciclo?
In linea teorica potrebbero essere le alternative reali e di mercato per contrastare questa deriva, ma la realtà è ben diversa. Proprio perché rientrano nello stesso calderone e in questa fase il mercato le ignora del tutto anche perché assolutamente non orientato (come potrebbe esserlo in questa situazione?) dai governi (peraltro oggi accade sia in quelli democratici, sia negli altri).
Prendiamo il segnale positivo: stavolta non c'è solo l'innocua e sottile voce di greenreport a quanto meno denunciare e osservare quello che sta accadendo. Ma è comunque una magra consolazione di fronte ad un sistema che sta ormai in maniera quasi del tutto consapevole segando definitivamente il ramo su cui ancora si aggrappa.