[11/01/2011] News
NAPOLI. Il rapporto ormai è pronto. E la "National Oil Spill Commission", la commissione voluta Barack Obama per analizzare la cause che hanno determinato, lo scorso 20 aprile, l'esplosione della Deepwater Horizon, la morte di 11 persone, e la conseguente fuoriuscita di almeno 5 milioni di barili di petrolio dal pozzo Macondo scavato a 1.500 metri di profondità sul fondale del Golfo del Messico, lo consegna oggi al Presidente degli Stati Uniti.
Giovedì scorso, 6 gennaio, la commissione di sette membri - presieduta dall'ex senatore della Florida Bob Graham e dall'ex direttore dell'EPA (Environment Protection Agency), l'Agenzia per la protezione ambientale degli Usa, William Reilly - ha tuttavia reso pubblico un'anticipazione del rapporto finale, con i suoi risultati fondamentali. E sono risultati che parlano chiaro. Si è trattato di un «incidente evitabile» frutto del combinato disposto di responsabilità soggettive di tutte e di ciascuna le tre grandi imprese private - la British Petroleum (BP), la Transocean e la Hulliburton - e delle responsabilità oggettive della pubblica amministrazione degli Stati Uniti.
Gli incidenti evitabili nella vicenda del più grave disastro ambientale nella storia degli Stati Uniti sono, in realtà, almeno due. Uno relativo alle esplosioni (almeno due) che hanno portato all'affondamento della piattaforma Deepwater Horizon, l'altro relativo alla fuoriuscita a lungo incontrollata di petrolio dal pozzo Macondo.
In entrambi i casi - sostiene il rapporto - si sono verificati una serie di errori a catena che, nel complesso, denunciano un'assoluta mancanza di cultura di prevenzione del rischio da parte delle tre imprese. Una scarsa preparazione degli addetti, una mancanza di comunicazione all'interno delle singole imprese e tra le singole imprese. Un pauroso deficit di management industriale.
Insomma i dirigenti delle tre imprese non hanno saputo fare il loro mestiere né per impedire l'esplosione, né per impedire le fuoriuscita di petrolio: eventi entrambi evitabili. Tant'è che le persone, oltre un centinaio, che si sono salvate, lo hanno potuto fare solo in virtù del loro intuito e del loro coraggio - talvolta del loro eroismo - non perché hanno seguito le procedure che mal conoscevano.
Ma ci sono anche colpe pubbliche. Di duplice natura. Le colpe dei pubblici ufficiali che non hanno saputo vigilare e controllare che le norme di sicurezza venissero rispettate. Le colpe politiche e tecniche dovuta alla mancanza di norme sufficientemente rigorose.
La Commissione non aveva il compito di individuare le cause prossime dell'incidente e le specifiche responsabilità penali e civili. Lo stanno facendo i tribunali. Aveva il compito di individuare le cause più remote. E da quello che emerge si tratta di cause gravi e decisive. Le imprese private non si sono curate della sicurezza, nonostante la perforazione off-shore di pozzi petroliferi sia un'attività ad alto rischio. Lo stato, nelle sue diverse articolazioni, non è riuscito né a creare un contesto legislativo adatta alla prevenzione né a garantire un minimo di sorveglianza.
I risultati della Commissione sono contestati dalle imprese coinvolte. Sebbene le loro responsabilità soggettive siano evidenti. La Transocean, proprietaria della piattaforma, non ha imparato nulla da precedenti incidenti in cui sue strutture sono state coinvolte. La BP ha messo in atto procedure complicate e mal conosciute dai suoi addetti. La Hulliburton non ha fatto un buon lavoro di cementificazione. Ma il fatto più grave è che continuano a rimpallarsi queste responsabilità. Dimostrando, con il vecchio gioco dello scaricabarile, che la Commissione presidenziale ha individuato la causa più profonda dell'incidente del Golfo del Messico: la mancanza di cultura della sicurezza.
Una mancanza che continua a manifestarsi e che non ci fa ben sperare per il futuro.