[12/01/2011] News
Succede talvolta che la cattiva coscienza ci presenti il conto, ma non sempre è quello giusto: non c'è dubbio che qualcuno tra noi abbia lasciato da qualche parte, non quella giusta, un sacchetto di plastica, o che -peggio- qualche tartaruga l'abbia scambiato per una medusa... e tutti noi abbiamo avuto notizia di isole di plastica danzanti su ettari di oceano.
Ed ecco che ci arriva il conto: il sacchetto in plastica biodegradabile.
Il sacchetto biodegradabile nasce con uno scopo ben preciso: quello di diventare rifiuto finalizzato alla raccolta dell'umido. Per questo motivo ha una durata di vita limitata.
Per combattere il nostro cattivo comportamento di distratti abbandonatori di shopper ecco che arriva una.. punizione generale: un nuovo shopper che si rompe con estrema facilità, che offre minore capacità degli shopper tradizionali e che costa di più. Così un costo diffuso su tutti ci farebbe sentire in regola rispetto ai cattivi comportamenti di alcuni.
Ma è giusto così?
Il consumo di shopper in polietilene in Italia ammonta a circa 200.000 tonnellate all'anno. Il polietilene deriva dal petrolio e dovrebbe invece essere sostituito dai nuovi bio-shopper, che derivano dal mais o dal girasole. Per ottenere la stessa quantità di shoppers in bioplastica dovrebbero essere coltivati non meno di 300.000 ettari e consumati almeno un miliardo e 200 milioni di metri cubi d'acqua per irrigarli. L'Italia e l'Europa non hanno la possibilità di sopportare simili consumi di territorio e di risorse idriche. Pertanto i bio-sacchetti (e/o le materia prime per produrli) verranno da altri paesi dell'Oriente, che a loro volta utilizzeranno colture provenienti da paesi del terzo mondo. E anche noi avremo contribuito alla conquista dell'Africa da parte della Cina.
Mirabile esempio di trasferimento di costo: noi paghiamo, ma il prezzo vero ricade, secondo la regola, sul più povero ed indifeso!
Alla fine avremo ottenuto l'obbligo di utilizzare un prodotto degradabile, destinato a diventare rifiuto e soggetto ad altri errori di comportamento, poichè verrà qualche volta conferito in raccolta differenziata assieme alla plastica, con la quale non è compatibile, danneggiando così i processi di riciclo e con un tempo di compostabilità diverso (per via delle caratteristiche strutturali) rispetto all'umido... mettendo in difficoltà anche i processi di produzione del compost.
Ne vale la pena?
Anche perché -come sottolinea la direttiva comunitaria- va anche evitato il possibile conferimento in discarica del sacchetto biodegradabile: se finisce in discarica uno shopper in polietilene esso diventa un carbon sink:sarà poco simpatico ma trattiene il carbonio; se invece va in discarica un bio shopper, questo diventa un produttore di metano, che è peggiore del CO2.
Ne vale la pena?
Per combattere gli effetti di un errato comportamento è corretto mettere in gioco simili meccanismi? Far pagare al mondo simili costi?
CARPI, prima di tutto, è un consorzio di riciclatori e non può non ricordare a tutti che la plastica ( ed il polietilene in particolare) è riciclabile al 90% e più volte. E non può neppure evitare di porre la domanda vera: è più corretto evitare di produrre ancora CO2 o metano, di consumare nuovo petrolio, di diffondere un'agricoltura finalizzata alla produzione di rifiuti, di aggravare le condizioni di squilibrio tra le genti del nostro pianeta... o è meglio sostenere e diffondere questo nuovo prodotto? In altre parole: è meglio la sporta, magari in plastica riciclata, o il bio shopper? Riciclo o bio shopper? Recupero o rifiuto?
Per questo CARPI farà quanto possibile per ostacolare -come è già avvenuto con successo in Francia- una scelta che non offre visibili vantaggi ambientali e socio-politici e soprattutto per ottenere la conferma anche in Italia di un dato chiarissimo: non esiste alcuna norma europea che vieti la diffusione e la distribuzione dei prodotti in plastica, shopper inclusi. Esistono invece ripetuti richiami e sollecitazioni a favore del riciclaggio.
* Direttore generale Consorzio Carpi