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[24/01/2011] News
LIVORNO. La Francia rischia di essere condannata dalla Corte di giustizia europea per non aver adottato le misure adeguate per la conservazione degli habitat naturali, seminaturali della flora e della fauna selvatiche. Perché le misure agroambientali francesi adottate a favore del criceto comune non sono appropriate per la tutela della specie.
Questa è l'opinione che l'avvocato generale della Corte di giustizia europea fornisce a seguito di una denuncia relativa allo stato di conservazione delle popolazioni del criceto comune in Alsazia. Infatti, risulta che il numero delle tane di criceto comune documentate nelle zone centrali è sceso da 1167 nel 2001 a un numero fra 161 e 174 tane nel 2007. Temendo la scomparsa imminente di dette presenze la Commissione sollecita la Francia a presentare le sue osservazioni. Ma secondo la Commissione la Repubblica francese, non avendo istituito un programma di misure che consentano una rigorosa tutela, è venuta meno agli obblighi della direttiva habitat.
La Francia ha adottato misure nelle cosiddette zone di azione prioritarie (Zap) e in una zona più estesa, la cosiddetta zona di ripopolamento. All'interno della Zap (tre zone ciascuna pari a perlomeno 600 ettari, e complessivamente a 3 285 ettari, in ciascuna delle quali si mira a raggiungere una popolazione di 1 500 individui), mediante misure contrattuali, la Repubblica francese mira a garantire la coltivazione del terreno per il 20% a cereali e per il 2% a erba medica.
All'interno della zona di ripopolamento (che comprende il 49% delle superfici utilizzate storicamente dal criceto comune e idonee alla sua futura presenza), invece, viene promossa la coltivazione di erba medica e di cereali invernali. Anche qui si tenta di realizzare, nelle zone popolate dai criceti, la coltivazione del terreno per il 20% a cereali, e per il 2% a erba medica.
Ma il criceto non è in grado di sopravvivere se i suoi habitat non vengono utilizzati, sotto il profilo agricolo, e anche urbano in maniera ad esso favorevole. E il coltivarle a cereali e a erba medica e non a mais non sono misure sufficienti a consentire l'evoluzione di popolazioni vitali a lungo termine.
Fra l'altro, nel 2008 solo il 60% delle superfici popolate da criceti comuni sono oggetto di misure agroambientali nelle Zap e nella zona di ripopolamento. Il restante 40% della sua zona di insediamento non è quindi assoggettato alle misure necessarie a garantire l'utilizzazione continuativa dei siti di riproduzione e delle aree di riposo.
Inoltre le misure coerenti e coordinate a carattere preventivo predisposte per tutelare il criceto comune a fronte di pregiudizi arrecati da progetti urbanistici risultano incomplete. In particolare le superfici escluse dalle misure edilizie e le Zap avrebbero nel complesso un'estensione troppo ridotta.
La direttiva habitat, infatti, ha come scopo quello di contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo. Impone, dunque la tutela degli habitat e a tale proposito prevede una chiara definizione di Stato di conservazione di una specie. Ossia: "l'effetto della somma dei fattori che, influendo sulle specie in causa, possono alterare a lungo termine la ripartizione e l'importanza delle sue popolazioni nel territorio". Tale stato è considerato "soddisfacente" quando i dati relativi all'andamento delle popolazioni della specie in causa indicano che tale specie continua e può continuare a lungo termine a essere un elemento vitale degli habitat naturali cui appartiene; quando l'area naturale della specie non si sta riducendo né si ridurrà verosimilmente in un futuro prevedibile, ed esiste e continuerà probabilmente ad esistere un habitat sufficiente affinché le sue popolazioni si mantengano a lungo termine.
Dunque, gli Stati membri devono adottare i provvedimenti necessari a istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali (compresi i criceti comuni) nella loro area di ripartizione naturale con il divieto di qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata di tali specie nell'ambiente naturale. Ma anche con il divieto di perturbare deliberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione e di migrazione. E con il divieto di distruggere o raccogliere deliberatamente le uova nell'ambiente naturale e di deterioramento o distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo.