![](../_new/immagini/nrm/2010_03_11_13_01_27.jpg)
[26/01/2011] News
LIVORNO. Forse il rischio più grande che sta correndo il presidente francese Sarkozy è quello di finire un giorno nella bacheca delle varie Cassandre scomode che hanno paventato rivoluzioni sociali e ambientali. La cosa più probabile è invece che venga semplicemente ignorato, anche questa volta, come le volte precedenti in cui aveva provato a convincere gli altri leader mondiali della necessità di una tassa sulla speculazione finanziaria. Eppure per il principio di ridondanza prima o poi la gocciolina potrebbe scalfire la roccia.
Sarkozy ha ribadito la sua proposta in qualità di presidente di turno del G20, quasi in concomitanza con l'apertura dell'appuntamento di Davos che tra i temi posti all'ordine del giorno di quest'anno ha inserito quella che potrebbe essere definita una bozza di riconversione ecologica dell'economia. Il premier francese ha ricordato che alla Borsa di Chicago vengono scambiati ogni anno sul mercato dei derivati cifre che equivalgono 46 volte alal produzione di grano e 24 volte a quella di mais. «L'estate scorsa un operatore - ha aggiunto - ha comprato il 15% degli stock mondiali di cacao senza sborsare un dollaro e senza che neppure un chilo di cacao gli venisse fisicamente trasferito. E qualcuno sostiene ancora che non c'è nesso tra speculazione finanziaria e prezzi delle commodities?».
La tassa, ricordiamolo, secondo Sarkozy dovrebbe essere indirizzata ad aiutare i Paesi in via di sviluppo perché è proprio la speculazione che crea le rivolte della fame che stanno devastando in questi giorni i "cugini poveri" della Francia, come la Tunisia.
Un altro esempio sotto gli occhi di tutto è quello che sta accadendo proprio al cacao, il cui prezzo sta galoppando in alto a causa di motivi tutt'altro che fisici (cioè legati ai flussi di materia e di energia), ovvero la tensione politica che si respira in Costa d'Avorio, paese tra i maggiori esportatori attualmente ‘governato' da due diversi presidenti!.
Eppure una riconversione ecologica dell'economia presuppone una riconversione prima di tutto industriale che sembra raccontata come una favola a lieto fine da Rampini su Reppubblica di ieri, dove analizza la nuova tendenza da parte dei grandi gruppi industriali a ritirare i propri prodotti guasti e a ripararli rimettendoli sul mercato. General motors, generale electric, Xerox, Kodak, caterpillar sono solo alcuni dei nomi più noti che hanno intrapreso da alcuni anni la ri-fabbricazione dei propri prodotti e che oggi tramite l'associazione di riferimento escono allo scoperto in un incontro con il presidente Obama.
«Mezzo milione di lavoratori americani è impiegato in questo settore - spiega Rampini - e i big della ‘ri-manifattura' lamentano soprattutto gli ostacoli alla loro espansione nel resto del mondo, dove la legislazione traduce un'atavica diffidenza per l'usato, temendo sia scadente, inaffidabile pericoloso».
Eppure proprio la ri-manifattura messa in piedi negli Stati Uniti potrebbe essere la traduzione di quella "preparazione al riutilizzo" che costituisce una delle più grandi novità della direttiva europea sui rifiuti (la 98 del 2008) e che permetterebbe di incidere in modo sostanziale sul risparmio di materia e di energia, e a questo proposito sarebbe anzi opportuno spingere il riutilizzo e il riciclo di materia da processo e da prodotto e sostenerlo con incentivi esattamente come le rinnovabili.
Qualche segnale positivo, dunque, sia a livello politico che industriale. Anche se resta l'amara considerazione del tremendo gap temporale che scava solchi sempre più profondi tra le decisioni della politica e le azioni della finanza.