[08/02/2011] News
LIVORNO. Secondo New America Media la ferma posizione di Obama contro il presidente egiziano Hosni Mubarak sarebbe una specie di bacio della morte, simile a quello con il quale altri presidenti Usa hanno liquidato ex-alleati diventati compromettenti, come Saddam Hussein, Suharto, Ferdinand Marcos, Manuel Noriega, lo Scià di Persia e Ngo Dinh Diem.
Il giornale statunitense affida a Yoichi Shimatsu, ex associate editor del Pacific News Service ed esperto dei movimenti integralisti islamici del Magreb per il Japan Times Weekly, una lunga analisi della storia politica del Rais egiziano che inizia dalla guerra dello Yom Kippur del 1973 e trova la sua svolta cruciale nel 1981, con l'uccisione del suo predecessore e mentore, il golpista Anwar Sadat, per mano di un militare affiliato ai Fratelli Musulmani.
Shimatsu analizza il difficile equilibrismo di Mubarak tra Usa ed Israele, i palestinesi , gli scontri tra musulmani e cristiani copti, la lotta all'ideologia panarabista del primo presidente egiziano, Gamal Abdel Nasser che ha ispirato I regimi baathisti irakeno e siriano... un ping pong nel labirinto mediorientale che ha fruttato al corrotto regime egiziano miliardi di dollari in aiuti statunitensi.
Shimatsu giunge però ad una conclusione abbastanza sorprendente: il "bacio della morte" americano al dittatore del Cairo sarebbe dovuto più che all'amore per la democrazia, alle crescenti preoccupazioni per la scelta nucleare di Mubarak che non ha mai nascosto le sue ambizioni di realizzare l'ennesima bomba atomica islamica.
Secondo New America Media lo spartiacque sarebbe stato la seconda guerra del Libano del 2006, con Mubarak addirittura tentato di intervenire per battere Hezbollah e sconfiggere il suo focoso leader, il mullah sciita Hassan Nasrullah, che accusò di «Avventurismo che non serve gli interessi arabi» e di incoraggiare «Gli sciiti ad essere fedeli all'Iran e non ai Paesi all'interno dei quali vivono».
Non a caso, Mubarak rispose all'opinione pubblica egiziana e ai tanti ufficiali dell'esercito che gli chiedevano di intervenire contro gli attacchi aerei israeliani sui quartieri civili: «Coloro che sollecitano l'Egitto per andare in guerra per difendere il Libano e Hezbollah non sono consapevoli che il tempo delle avventure all'estero è finito».
L'esercito più potente del mondo arabo è stato lasciato a reprimere il suo popolo (ed oggi non appoggia più il regime), mentre Nasrullah con i suoi razzi made in Iran (e non solo) ha costretto Israele alla tregua, diventando un eroe degli arabi sempre più frustrati e dimostrando che la gloria non deriva dalla moderazione. E' probabilmente in quell'occasione, dopo quel calcolo sbagliato, che il vecchio dittatore egiziano e la sua cricca hanno deciso la svolta nucleare da utilizzare come deterrente verso Israele, ma soprattutto contro il pericolo di un'egemonia iraniana che potesse saldare, partendo dal Libano e arrivando ad Hamas a Gaza, le minoranze sciite con la maggioranza sunnita.
Mubarak ha abbandonato ogni appello all'Iran per un "Medio Oriente denuclearizzato", anche perché Teheran lo accusava di non aver speso una parola contro Israele ed il suo crescente arsenale nucleare strategico. Inoltre l'innamoramento atomico del Rais potrebbe aver avuto un obiettivo preventivo: l'ex segretario dell'International atomic energy (Iaea) e Premio Nobel per la pace Mohamed El Baradei, un avvocato che ha studiato a New York e che viene da una famiglia filo-occidentale avversaria del regine di Nasser, che ha sempre chiesto il disarmo nucleare sia dell'Iran che di Israele, senza nessun risultato concreto.
Dire che anche l'Egitto vuole il nucleare pensando alla bomba atomica era di fatto una sconfessione di El Baradei... e Mubarak sapeva che l'ex segretario dell'Iaea era il cavallo preferito degli americani e che se lo sarebbe ritrovato tra i piedi (come hanno dimostrato i fatti di questi giorni) come avversario politico.
L'equilibrismo dell'ormai ex uomo forte dell'Egitto si basava su una situazione stratificata che Shimatsu spiega molto bene: «La maggior parte dei missili di Israele restano puntati sulle città densamente popolate dell'Egitto, una costante minaccia che giustificava il fatto che il Cairo andasse verso la deterrenza. Il programma egiziano per l'energia atomica ha le sue radici nell'epoca di Nasser, quando un piccolo reattore russo è stato installato per scopi di ricerca. Poco prima del suo assassinio, nel 1981, Sadat aveva portato l'Egitto nel Trattato di non proliferazione su una base limitata, lasciandosi la possibilità di un ritrattamento indipendente del combustibile nucleare. Gli scienziati nucleari egiziani hanno fatto progressi lenti, ma il loro lavoro è stato gravemente limitato dalla mancanza di reattori operativi».
Le conseguenze politiche della guerra del Libano hanno dato al regime di Mubarak l'ultima spinta per abbandonare ogni remora sull'energia nucleare. Nel settembre 2006, durante un congresso del Partito nazionale democratico, Gamal Mubarak il figlio del presidente che avrebbe dovuto sostituirlo alle prossime elezioni, annunciò che L'Egitto avrebbe avuto un suo programma nucleare.
Nella primavera del 2007 il ministro dell'energia Hassan Younis annunciò i piani per costruire 10 centrali nucleari e spiegò che almeno uno di questi impianti sarebbe stato ad acqua pesante, cioè in grado di produrre le materie prime per realizzare un'arma nucleare. Da allora il regime egiziano ha firmato accordi per la costruzione di centrali nucleari e per la fornitura di attrezzature con la Cina e la Russia, facendo arrabbiare non poco il segretario di Stato Usa Hillary Clinton che accusa tutti e tre i Paesi di «Violazioni dei diritti umani».
Ma alla corte nucleare di Mubarak si sono presentate anche la corporation Usa Bechtel, e l'autorità nucleare della Corea del Sud, anche se Shimatsu dice che la ricerca di questi contatti era «Forse per raccogliere informazioni privilegiate per conto delle agenzie di intelligence occidentali».
Nel 2009 il ministro degli esteri egiziano Aboul Gheit ha illustrato la difficile situazione strategica del mondo arabo: Israele e Iran grandi players nucleari, uno nel Mediterraneo e l'altro nel Golfo «Abbiamo una massa di Paesi arabi e di popoli arabi che non si sentono a proprio agio in questa situazione». Quindi l'Egitto si sacrificava ed apriva per gli arabi l'ombrello della deterrenza nucleare, quella che Shimatsu definisce «Una trinità di deterrenza strategica tra Israele, l'Iran e l'Egitto», presentata come l'unico mezzo che ormai potesse mantenere i confini sicuri tra i tre blocchi ed impedire gli attacchi israeliani a Gaza.
Dal panarabismo socialista di Nasser si passava quindi al panarabismo atomico di Mubarak, con un triangolo deterrenza regionale che avrebbe impedito qualsiasi guerra locale e limitato fortemente le ingerenze degli Usa e quelle crescenti di Russia e Cina, pena il rischio di una conflagrazione nucleare planetaria.
Gli Usa nel 2008 fecero un ulteriore passo che ha complicato la vicenda e dato altre chance a Mubarak: hanno approvato la lista redatta da Rose Gottemoeller, assistente del Segretario di Stato per Arms control, verification and compliance, che inserisce Israele tra gli "undeclared nuclear state".
Secondo Shimatsu «Questo riconoscimento tardivo dimostra che Washington non ha un reale approccio politico alla deterrenza regionale, mentre si aggrappa ostinatamente a uno status di superpotenza che si sta erodendo. La proposta di Obama-Kissinger per il disarmo nucleare totale, inaugurata nel 2009 in tempo per il Premio Nobel della Pace, sarebbe stata fattibile alla fine della guerra fredda, ma non oggi nel mondo multipolare della geopolitica "hardball".
Qualunque sia la sua retorica no-nukes, Washington è impotente a disarmare l'arsenale nucleare di Tel Aviv. Inoltre, gli Stati Uniti non si impegneranno per un ombrello nucleare sopra l'Egitto o il resto del mondo arabo in caso di invasione israeliana. Ma adottando l'opzione nucleare, il regime di Mubarak ha rischiato, portando alla destabilizzazione ed al cambio di regime, come è successo a Pervez Musharraf, che ha rifiutato di sospendere la cosiddetta "Islamic bomb" pakistana».