[21/02/2011] News
Volevamo tutti essere Luciano De Majo. Perché lui, di quel gruppo di ragazzi che agli inizi degli anni Novanta provavano a fare i giornalisti, era il migliore. Era il punto di riferimento, nonostante avesse pochissimi anni più di noi, era quello che ti aiutava sempre. Quello che faceva le domande che avresti voluto fare te, quello che ne sapeva sempre più di te. Ma che non te lo faceva pesare. Tanti i ricordi. Troppi. Ci conoscevamo fin dal liceo. Tanto consiglio comunale, tanto palazzettodello sport, tanto stadio, tante conferenze stampa impossibili con la solita fermata obbligatoria con Luciano: "Lucio scusa, ma qual è la notizia? Perché qui ne hanno dette mille...". E lui che con pazienza e il solito fare da fratello maggiore ti spiegava il suo punto di vista. Magari con una bruciante battuta finale delle sue.
Giornalisti di due testate concorrenti, si direbbe. Ma non è così, perché con lui non si è mai stati in competizione. Anche perché per lui che era il migliore, il posto di lavoro "fisso" in un giornale - il suo grande sogno nonostante abbia fatto con grande passione tutti gli altri lavori con il massimo possibile dell'impegno - lo aveva raggiunto dopo tanti anni rispetto a quelli meno bravi di lui. Aveva tante collaborazioni, aveva iniziato a quindici anni, era corrispondente di giornali e di agenzie nazionali. Non si sa dove trovasse il tempo di fare tutto e bene. Ogni tanto si incazzava di brutto e lo faceva sapere. Non era certo uno che si teneva dentro alcunché. Per le sue idee era pronto a battersi fino in fondo con la forza degli argomenti.
Basket, calcio, politica, ecologia: le discussioni con Luciano non finivano mai. Quante chiacchierate, quante prese per il culo. Un livornese tipico e atipico allo stesso tempo. Risposta pronta, mai la testa china, ma rispettoso delle regole. I suoi amori erano la politica e lo sport, alla giudiziaria ce lo avevano mandato, ma lui non l'amava. Come non amava la cronaca nera. Lo faceva perché doveva farlo e lo faceva quindi benissimo. Quegli occhi azzurri si illuminavano soprattutto quando parlava dei figli. Da quando era riuscito finalmente a metter su famiglia era molto più appagato. Aveva lasciato le tante collaborazioni e viveva una dimensione diversa. Francamente non ho mai creduto che Luciano potesse morire. Quando si seppe della cosa fu lui a consolare me: "Ale guarda che vinco io! Non ci sono problemi, stai tranquillo". Io riuscivo solo a singhiozzare, ma come sempre gli ho creduto. E' stata l'unica bugia che mi ha raccontato. Ma forse nemmeno lui ha mai creduto che fosse davvero arrivata la sua ora. Non lo si può credere a quarant'anni. Davvero non si può. Ciao Luciano.