[22/02/2011] News
LIVORNO. Mentre Gheddafi annuncia resistenza ad oltranza, bombarda il suo popolo con aerei comprati in occidente e in Russia ed i suoi mercenari sparano con armi fornite anche da noi, l'Italia è molto preoccupata per i suoi rifornimenti petroliferi e gasieri e le Big Oil, a cominciare dalla Bp, temono per i nuovi pozzi petroliferi offshore in acque profonde che avrebbero dovuto cominciare presto a trivellare nella Zona economica esclusiva della Libia, la stessa che fu una delle cause del dimenticato bombardamento Usa, quando Gheddafi era ancora considerato un dittatore a capo di uno Stato canaglia e non la nostra canaglia a capo di uno Stato che ha fatto della repressione dei migranti una risorsa da mettere sul mercato geopolitico.
L'Italia avrebbe fatto bene a non tessere, né prima né ora, imbarazzanti rapporti politici con il ributtante e sanguinario regime libico, capace di passare dalle basi sovietiche al baciamano di Berlusconi al suo colonnello che si credeva eterno, ma il nostro Paese farebbe anche bene, dopo aver accettato obtorto collo la tardiva condanna europea della dittatura libica, ad occuparsi di quel che accade sotto l'ormai inesistente muro anti-immigrazione costruito da Gheddafi con le baionette, le malversazioni, le torture e gli abusi.
Nell'africa centrale ed orientale, nelle nostre ex colonie del nostro dimenticato e vergognoso colonialismo fascista, La Niña sta costruendo una tempesta umanitaria perfetta che secondo l'Onu colpirà milioni di persone. Mentre assistiamo allibiti alla rivolta dei popoli arabi non ci siamo accorti di quel che sta accadendo nella piccola ex colonia francese di Gibuti, dove le tribù somale degli afar e degli issa hanno già praticamente rovesciato il regime del presidente Ismail Omar Guelleh, spinte dall'emulazione per i confratelli arabo-musulmani e soprattutto da una crisi economica esacerbata da una siccità senza fine. La piccolissima Gibuti, incastonata all'entrata del Mar Rosso tra tre ex colonie italiane: l'Eritrea devastata da una dittatura che ha tradito tutti gli ideali rivoluzionari e dalla quale scappano i giovani che ritroviamo sulle nostre coste, la turbolenta e povera Etiopia delle cento etnie, lo Stato fantasma della Somalia, o meglio il Somaliland autoproclamatosi indipendente. Gibuti è anche al centro della tempesta perfetta che rischia di trasformare, insieme al cedimento del "muro di Berlino" libico, un evento climatico in una tragedia ambientale ed umana per l'Africa e in una nuova e ingestibile grana migratoria per l'Italia e l'Europa.
Da novembre i Paesi dell'Africa orientale stanno vivendo una drammatica siccità che sembra addirittura destinata ad ampliarsi nei prossimi mesi. Secondo i dati pubblicati recentemente dalla World meteorological organization (Wmo) tutto questo è dovuto alle ripercussioni de La Niña : «Il fenomeno potrebbe estendersi fino a 4 mesi» ed è già possibile vedere gravi danni in alcune zone aride dell'Africa orientale che stanno vivendo condizioni meteorologiche più dure del normale per questo periodo dell'anno.
La Niña, raffreddando la superficie delle acque nella zona centrale ed orientale dell'Oceano Pacifico, rischia di dar fuoco alla miccia che potrebbe provocare uno tsunami umanitario verso il Mediterraneo, proprio ora che un'altra via di fuga, lo Yemen, è diventata impraticabile per le rivolte contro il regime filo-occidentale. Infatti La Niña mantiene l'Africa orientale più arida di quanto non lo sia già normalmente e sta suscitando forti preoccupazioni per la sicurezza alimentare in vaste aree prive di opere di irrigazione che comprendono la Somalia, il Kenya, l'Etiopia, la Tanzania e la minuscola e strategica Gibuti.
Kenya e Somalia sono già stati colpiti duramente. Mohamoud Duale, direttore dell'Ong keniana Racida, spiega all'agenzia stampa dell'Onu Irin che «Alcune regioni nel nord sono attualmente un disastro. Nel nord dei distretti di Isolo, Marsabit, Moyale e Samburu, almeno 150.000 persone hanno bisogno di urgente aiuto alimentare, la maggioranza di loro sono donne, bambini e persone anziane».
Duale era a Nairobi per la conferenza stampa «Siccità in Kenya: quando finirà?», organizzata da Oxfam, Cordaid, Care International, Save the Children, VSF-Belgique e Reconcile, durante la quale il viceministro keniano per i programmi speciali, Mahmoud Ali, ha sottolineato che il governo di Nairobi fornisce già aiuto alimentare ad un milione di persone, mentre il Programmas alimentare mondiale (Pam) sta distribuendo cibo a 1,6 milioni di keniani. «Il totale della popolazione colpita dal fenomeno de La Niña è di circa 5 milioni di persone, da qui il bisogno di fornire del cibo a 2,4 milioni di persone in più - ha detto Ali - Per attenuare gli effetti della siccità, il governo ha riattribuito 9,5 miliardi di scellini keniani (118 milioni di dollari) alle regioni colpite, principalmente nel nord del Kenya». Tra le nuove misure ci sono 57 camions per fornire gli aiuti umanitari, i vaccini per il bestiame, la costruzione di piccole dighe e la distribuzione di compresse per purificare l'acqua. Ma gli aiuti non bastano è la gente sul posto si trova a dover fronteggiare ogni giorno gli effetti della siccità e nel nord del Kenya si sono già registrate morti per fame e l'Etiopia e l'Uganda hanno denunciato l'arrivo di numerosi migranti keniani che fuggono dalla siccità.
In Somalia e Gibuti la situazione è ancora peggiore: le risorse idriche e le condizioni dei pascoli sono deteriorate, le mandrie vagano alla ricerca di acqua e cibo esacerbando le rivalità e i conflitti tra le tribù di pastori nomadi. Secondo la Fao «I livelli dei fiumi sono attualmente al di sotto del normale per questo periodo dell'anno e ci attendiamo che calino ancora di più di qui alla prossima stagione delle piogge in aprile». Circa 2,4 milioni di somali hanno bisogno di aiuti umanitari urgenti a causa della guerra interna e dell'insicurezza alimentare, la siccità rischia di aumentare il numero dei profughi interni, che in Somalia sono già 1,4 milioni.
L'agenzia meteorologica dell'Etiopia ha detto che La Niña è «Da moderata a forte» e che durerà probabilmente fino a giugno, con piogge al di sotto della norma in numerose regioni del grande Paese africano, escluse quelle occidentali e sud-occidentali dove le precipitazioni dovrebbero essere normali.
La Tanzania, seconda economia dell'Africa orientale dopo il Kenya, comincia a risentire gli effetti della siccità : il governo ha esteso il razionamento dell'elettricità a tutto il Paese e il ministro delle miniere e dell'energia, William Ngeleja, ha detto in Parlamento che «Si supponeva che il razionamento terminasse a fine gennaio, ma i livelli dell'acqua in calo nelle centrali idroelettriche hanno aumentato il deficit energetico». La maggior parte dell'energia della Tanzania viene proprio dall'idroelettrico e alcuni parlamentari hanno chiesto la proclamazione della crisi nazionale per carenza idrica.
Safia Abdi, responsabile dei programmi per Cordaid, ha ancora speranza : «Dobbiamo agire prima, invece di reagire. In futuro avremo più siccità ma non devono diventare dei disastri. Dobbiamo affrontare la siccità prima che si metta in moto e non attendere fino a che non è troppo tardi e quando la gente soffre di già».