[10/09/2009] News
LIVORNO. Può esistere una green economy senza l'industria? Può esistere una green economy senza innovazione? Può esistere una green economy senza Università? Può esistere una green economy senza cultura? La risposta è decisamente no, anche se si fosse dei convinti sostenitori della decrescita, oppure se avessimo come orizzonte un'economia basata sul dono o sul baratto. In qualsivoglia paradigma economico che intenda ridurre gli impatti dell'uomo sull'ambiente la tecnologia, e quindi l'industria tecnologica in questo caso, non la si potrebbe escludere neppure volendo. Come si calcolerebbe l'impronta dell'uomo senza strumentazioni ad hoc? Come si potrebbe produrre energia solare o termodinamica? Persino la vanga del contadino ha bisogna di una se pur rozza industria, per non parlare di come si potrebbe - in tempi non biblici - semplicemente promuovere anche un'idea di società diversa dall'attuale, magari anticapitalistica, senza un qualunque mezzo di informazione? Anche il più semplice, se si volessero abbattere i satelliti, le antenne tv, internet e restassimo con la radio o con un foglio di carta da passare di mano in mano avrebbero bisogno di Know how e capacità proprie dell'industria manifatturiera. Difficile non essere d'accordo con il filosofo Carlo Sini che oggi su Nova spiega perché l'uomo è figlio della tecnica: «La tecnica è l'uomo, l'uomo è un essere tecnico per definizione, per essenza, e il timore che l'umanità vada a ridursi nella macchina è fuori luogo. Perché la macchina è quanto più di umano c'è nell'uomo. Uomo e tecnologia sono parte l'uno dell'altra, fin dalla strumentazione che il neonato si trova a disposizione - la mano e la voce - che in una collaborazione di decine di migliaia di anni hanno dato luogo alla scrittura alfabetica».
Da qui si capisce come mai l'economia ecologica non ha e non può avere un cuore anti-industrialista nonostante ne riconosca i danni fatti in passato e nel presente, bensì creda nella riconversione del settore come unica strada per battere davvero la strada che conduce alla sostenibilità ambientale e sociale. E' l'economia che depaupera le materie prime e consuma energia, ma l'economia è l'uomo. L'economia non ha forza propria. L'economia può essere orientata dal mercato, ma anche (se non si vuole che il marcato faccia da sé) dal governo della polis. E dunque se la forza dell'industria italiana è il manifatturiero e se si ha come orizzonte la green economy come in passato anche la leader di Confindustria Emma Marcegalia ha detto - pur se inquadrandola come driver della crescita e non come obiettivo assoluto - quanto ha sostenuto Romano Prodi (Nella foto) ieri è sottoscrivibile dalla prima all'ultima parola: «Non ci sono più studi empirici e questo è molto grave: l'industria non la studia più nessuno e si danno premi Nobel ad economisti che elaborano modellini astratti su cui si fondano hedge fund che poi falliscono senza che i premi vengano restituiti». Per il peso che l'industria italiana ha sul Pil - si legge sul Sole - resta nettamente superiore a quello che ha altrove: dopo la Germania, siamo il secondo paese manifatturiero d'Europa, ed è «da lì che dobbiamo ripartire per uscire dalla crisi». Per tutte queste ragioni - si legge più avanti - è ora di riscoprire la centralità dell'industria manifatturiera senza paura di mettere in campo moderne politiche industriali e di puntare su settori nuovi che facciano leva sull'innovazione: «E preoccupante che negli ultimi 25 anni l'Italia non abbia lanciato alcun nuovo prodotto a consumo di massa» e quali sarebbero per Prodi "i nuovi settori verso cui dovrebbe orientarsi l'industria italiana?". «Principalmente due - spiega - salute-scienze della vita ed energia-atnbiente». Per sviluppare progetti e investimenti in questi campi molto dipende dagli imprenditori ma tutti devono fare la loro parte, ricordando, che «dalla crisi si esce con le guerre o con l'innovazione». «Dei problemi dell'industria del futuro - prosegue - bisogna parlare anche con le banche, sapendo che non fanno opere di carità ma che possono essere incentivate a sostenere investimenti in campi promettenti» e bisogna collegarli, ecco uno dei compiti essenziali della politica, a un diverso modo di organizzare la formazione e la ricerca.
Se si pensa che il governo Prodi ha dato vita a Industria 2015, ha posto le basi per una contabilità ambientale, varato gli incentivi per le energie rinnovabili e l'efficienza energetica, aggiungendo l'evoluzione verso i temi della sostenibilità ambientale e sociale fatti dall'ex ministro Padoa Schioppa, qualche rimpianto viene e dovrebbe venire anche a chi quel governo ha fatto cadere, ma ora quello che conta è altro. Conta premere anche su istituzioni non particolarmente aperte sull'economia ecologica (come l'attuale maggioranza) mostrando che questa è già in atto - e gli esempi sono moltissimi per fortuna - in modo che sia costretta a fare determinate scelte, con la speranza che presto o tardi una forza veramente ambientalista che col tempo significherà sempre più ‘realista' porti anche l'Italia ad ergersi a protagonista di questo necessario e virtuoso cambiamento.