[10/09/2009] News
FIRENZE. Occupa uno spazio equivalente a mezzo campo da tennis, e questo solo per l'unità centrale (chiamata "Stratus") e senza considerare quella di back-up ("Cirrus"): si tratta del nuovo super-computer che la National oceanic & atmospheric administration (Noaa) americana ha finito di mettere in opera nei giorni scorsi. Lo strumento, realizzato dall'Ibm, è compreso in un contratto di forniture informatiche che ha avuto la durata di 9 anni e il costo di 180 milioni di $.
I nuovi computer hanno una potenza 4 volte superiore agli ultimi adottati dall'ente che fa capo al ministero del Commercio, ma 34 volte superiore al supercomputer più potente esistente sulla terra 10 anni fa. L'adozione del nuovo sistema, per il momento, sarà finalizzata all'implementazione delle previsioni meteorologiche destinate al solo suolo americano, e non investirà per il momento le previsioni per altri paesi o le analisi climatologiche e non meteorologiche.
«La nuova tecnologia - ha dichiarato infatti Jack Hayes, direttore del Weather service (uno dei principali centri di analisi meteorologica degli Stati Uniti, alle dirette dipendenze della Noaa stessa) - ci metterà a disposizione modelli più sofisticati del suolo terrestre, dell'oceano e dell'atmosfera (..). Previsioni più accurate permetteranno al Weather service di allertare i singoli cittadini e intere comunità riguardo a impellenti eventi meteo pericolosi, in modo che essi possano attivarsi per proteggere la propria vita e i beni materiali».
E' ovvio come i progressi relativi al solo aspetto meteorologico siano di grande importanza per tutto il mondo (anche in prospettiva futura), ma anche che essi rivestano particolare significatività per quanto concerne il territorio statunitense, molto più esposto rispetto (ad esempio) a quello europeo a fenomeni meteorologici estremi come gli uragani, le tempeste di neve e ghiaccio invernali e - in buona misura - anche i tornado.
Ma la notizia è appunto di grande importanza per tutta la comunità globale, e avrà sicure ripercussioni anche per quanto attiene agli studi climatologici: questo perchè, come riporta il comunicato della Noaa, «miliardi di bytes di osservazioni meteo sono inseriti nel sistema ogni giorno», e una sempre maggiore capacità di elaborazione di questi input porta non solo a migliorare le previsioni meteo a breve e a media scadenza, ma anche a fare passi in avanti nella comprensione delle dinamiche insite al clima e, quindi, per un migliore approccio al surriscaldamento globale nella direzione sia dell'adattamento, sia della mitigazione, sia delle previsioni per il futuro.
Va infatti ricordato che, se la meteorologia è scienza antica anche se i metodi si sono evoluti, la moderna climatologia è invece scienza giovane: lo dimostra tra le altre cose il fatto che strumenti oggi imprescindibili come i satelliti sono attivi solo dalla seconda metà del secolo scorso, e in particolare quelli (fondamentali) destinati all'osservazione delle dinamiche delle calotte polari sono in opera solo dal 1978.
Ora il passo successivo dovrà essere, per la Noaa, il giungere all'utilizzo di strumenti così potenti e sofisticati anche per l'analisi climatologica, in modo da corroborare il principio di precauzione con valutazioni oggettive che chiariscano i mille aspetti che ancora caratterizzano la scienza del clima (al di là dell'unica certezza, e cioè che il pianeta si sta riscaldando, e delle forti probabilità che in questo riscaldamento sia prominente - se non esclusiva - la causa antropica).
Per le altre comunità sparse per il pianeta, invece, il discorso è diverso, e lo dimostrano i numeri citati da Giampiero Maracchi nella sua intervista di venerdì scorso a greenreport (vedi link in fondo alla pagina): ha infatti sostenuto il climatologo che mentre «la Noaa americana ha 25.000 dipendenti», i centri meteo in Italia contano «in tutto circa 300 dipendenti, mentre in tutto lo stato del Niger solo 3 persone si occupano ufficialmente di meteo e clima, e solo uno specificatamente di climatologia».
Insomma, mentre nelle stanze dell'impero americano vengono montati supercomputer da centinaia di milioni di $ e a 25.000 persone viene garantito un lavoro qualificato e fondamentale per il progresso scientifico, in uno dei paesi più poveri dell'Africa sono in 3 ad occuparsi della stessa materia: è questo, oltre che un esempio di dettaglio di quali siano le differenze tra i paesi "sviluppati" e quelli considerati "in via di sviluppo" anche per quanto attiene alla ricerca, un elemento che indica l'urgenza di superare (o perlomeno diminuire) questa specie di esorbitante "digital-divide" su scala planetaria: e in questo senso è da riportare quanto sostiene lo stesso Maracchi a riguardo («problema non tecnico, ma organizzativo, amministrativo e soprattutto finanziario, oltre che politico»), ma anche che dal meeting della World meteorological organization (Wmo) di Ginevra, terminato lo scorso 4 settembre, sono giunti appelli per la condivisione delle tecnologie e dei dati tra i diversi centri di analisi meteo-climatologica e per attuare forme di bench-marking tra i paesi finalizzate proprio a ridurre queste, appunto esorbitanti, diversità di aggiornamento tecnologico e capacità operativa. E, visti i numeri in ballo, c'è decisamente un ampio lavoro da fare.