[11/09/2009] News
ROMA. E' francamente sconcertante constatare come, ancora oggi, la visione politico-economica dominante si rifiuti di accettare le diagnosi e le terapie indicate, già nel 1972, dal primo e ben noto rapporto al Club di Roma "Limits to Growth" (tradotto in italiano da Mondadori lo stesso anno con il titolo "I limiti dello sviluppo") e realizzato da un team di studiosi del Systems dymanic group del prestigioso Mit (Massachussetts institute of technology) diretto dal grande esperto di sistemi Jay Forrester.
Un po' tutti gli articoli di questa rubrica cercano di dimostrare come gli straordinari avanzamenti scientifici in questi ultimi 40 anni, più o meno dagli anni Settanta ad oggi che si sono avuti in tanti campi disciplinari (che possiamo comunque raggruppare sotto i nomi di scienze del sistema terra e scienza della sostenibilità), hanno confermato le intuizioni e le conclusioni di quel rapporto, addirittura rafforzandole proprio alla luce delle continue conoscenze che si sono andate accumulando in questi decenni.
Nel mondo politico economico quel rapporto viene considerato ancora come un testo "catastrofista", che si ritiene abbia sbagliato tutte le previsioni (ancora non esiste una vera dimostrazione scientifica di tali presunti sbagli e ricordo a tutti che il rapporto cercava di tratteggiare, con l'applicazione di un primissimo modello mondiale computerizzato, possibili scenari relativi all'interazione di 5 variabili importanti per il futuro dell'umanità - popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali - entro i prossimi 100 anni ) ed è continuamente oggetto di affermazioni assertive che dimostrano come coloro che le fanno non l'abbiano mai realmente letto.
Tutto questo anche in una situazione internazionale come quella attuale dove le crisi ambientali, economiche e sociali sono sempre più gravi, sempre più intrecciate e sempre più difficili da affrontare perché come già nel 1972 gli autori de "Limits to Growth" affermavano, il fattore tempo non gioca certo a nostro favore e più ritardiamo ad agire più il costo dell'inazione sarà ingente.
La politica e l'economia non hanno fatto praticamente nulla in tutti questi decenni per invertire seriamente e sostanzialmente la tendenza agli effetti disastrosi di una continua crescita materiale e quantitativa della specie umana sul nostro pianeta ed oggi tutti noi, in primis i più poveri e i più deboli del pianeta, cominciamo a pagarne sempre maggiori conseguenze che sembrano certamente aggravarsi nell'immediato futuro, in una dimensione di ulteriore complessiva inazione.
Le conclusioni a cui giungeva lo studio del Mit nel 1972 erano le seguenti:
1. Nell'ipotesi che l'attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l'umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale.
2. E' possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe essere definita in modo tale da soddisfare i bisogni materiali degli abitanti della Terra e per dare ad ognuno le stesse opportunità di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano.
3. Se l'umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale direzione.
Nel terzo ed ultimo aggiornamento che gli autori principali del rapporto del 1972 hanno fatto nel 2004 ( Dennis e Donella Meadows con Jorgen Randers, il libro è stato pubblicato da Mondadori con il titolo "I nuovi limiti dello sviluppo") vengono ricordati alcuni punti fondamentali che hanno sinora impedito il progresso verso una strada di minore insostenibilità del nostro attuale modello di sviluppo socio-economico:
1. La crescita dell'economia fisica è considerata desiderabile; essa è al centro dei nostri sistemi politici, psicologici e culturali. Quando la popolazione e l'economia crescono, tendono a farlo in modo esponenziale.
2. Vi sono limiti fisici alle "sorgenti" di materiali e di energia che danno sostegno alla popolazione ed all'economia e vi sono limiti ai "serbatoi" che assorbono i prodotti di scarto delle attività umane.
3. La popolazione e l'economia in crescita ricevono, sui limiti fisici, segnali che sono distorti, disturbati, ritardati, confusi o non riconosciuti. Le risposte a tali segnali sono ritardate.
4. I limiti del sistema non sono solo finiti, ma anche suscettibili di erosione quando vengano sollecitati o sfruttati all'eccesso. Vi sono inoltre forti elementi di non linearità - soglie superate le quali i danni si aggravano rapidamente e possono anche diventare irreversibili.
I due Meadows e Randers ci ricordano che l'elenco delle cause del superamento e del collasso dei nostri limiti di crescita sul pianeta costituiscono anche un elenco dei modi che consentono di evitarli. Per indirizzare il sistema verso la sostenibilità e la governabilità, basterà rovesciare le medesime caratteristiche strutturali:
1. La crescita della popolazione e del capitale deve essere rallentata, e infine arrestata, da decisioni umane prese alla luce delle difficoltà future, e non da retroazione derivante da limiti esterni già superati.
2. I flussi di energia e di materiali devono essere ridotti aumentando l'efficienza del capitale. In atri termini, occorre ridurre la nostra complessiva "impronta ecologica" e ciò può avvenire in vari modi: dematerializzazione (utilizzare meno energia e meno materiali per ottenere il medesimo prodotto), maggiore equità (ridistribuire i benefici dell'uso di energia e di materiali a favore dei poveri), cambiamenti nel modo di vivere (abbassare la domanda o dirottare i consumi verso beni e servizi meno dannosi per l'ambiente fisico).
3. "Sorgenti" e "serbatoi" dei sistemi naturali devono essere salvaguardati e, ove possibile, risanati.
4. I segnali devono essere migliorati e le reazioni accelerate; la società deve guardare più lontano ed agire sulla base di costi e benefici a lungo termine.
5. L'erosione deve essere prevenuta e, dove sia già in atto, occorre rallentarla ed invertirne il corso.
Il processo che ci sta portando verso la XV Conferenza delle parti della convenzione quadro sui cambiamenti climatici di Copenaghen ai primi di dicembre sembra ancora soffrire di una diffusa incapacità di cogliere questa sfida epocale e quindi di intervenire rapidamente.
E' ormai indispensabile una vera e propria inversione di rotta senza la quale tutto sarà terribilmente più difficile da risolvere.