[09/03/2011] News toscana
PISA. Anche in Toscana i territori e i temi ambientali coinvolti in un dibattito anche pepato sono molti. In più d'un caso sono questioni piuttosto stagionate in altri invece si tratta di aspetti nuovi. Su questo sfondo nei giorni scorsi Riccardo Nencini e Vannino Chiti (Nella foto) sulla base anche di dati forniti dall'IRPET hanno riproposto -va detto subito perché il tema è antico- la questione di un sistema istituzionale a partire dai soggetti elettivi davvero affollato e quindi anche costoso e poco funzionale. Che la frammentazione comunale con un altissimo numero di comuni piccoli e piccolissimi e non certo solo in Toscana ( c'è chi sta assai peggio di noi) sia un assillo antico è noto dai tempi in cui Massimo Saverio Giannini ipotizzò e auspicò la riduzione degli oltre 8000 comuni a 1000.
Ma oltre alla aggregazione intercomunale anche la gestione di area vasta con la messa in discussione del ruolo stesso delle province non è certo recente tanto che furono anche sperimentate soluzioni di tipo comprensoriale mentre per i comuni si istituirono le associazioni intercomunali da cui qualcuno si illuse sarebbero nati i nuovi. Comuni. Anche la Toscana -l'ho ricordato più volte perché in troppi sembrano ignorarlo o averlo dimenticato- li sperimentò. Il cantiere -come direbbe oggi qualcuno- fu però smantellato alla svelta con non pochi strascichi che invece durarono a lungo.
Oggi ,specie nelle dichiarazioni di Nencini ma la solfa dura da tempo nella maniera sovente più grossolana e approssimativa accompagnando monotonomamente la chiacchiera federale, si sono aggiunte motivazioni prevalentemente e in qualche caso unicamente riguardanti i costi. Bisogna, insomma, sfoltire sia nel caso degli enti elettivi ( i piccoli comuni) ma anche e ancor più in quelli derivati a cui negli anni è stata affidata la gestione in molteplici settori di competenza soprattutto ma non solo regionale perché bisogna risparmiare.
Al riguardo sono stati forniti dei dati comparativi tra varie regioni da cui risulterebbe che in Toscana queste gestioni hanno un costo assai più alto. La prima osservazione che viene da fare è che comunque sia gli assetti istituzionali che la variegata tipologia di strumenti ai quali si ricorre -se si fa eccezione per le regioni a statuto speciale- sono quelli previsti principalmente dalla legislazione nazionale e poi da quelle regionali certamente più differenziate ma non così tanto da spiegare probabilmente scompensi così rimarchevoli.
Ora se c'è una lezione da trarre dai dibattiti e dalle esperienze passate è quella di non affrontare la questione in termini ‘aziendali' (che non furono peraltro mai prevalenti) perché le istituzioni non sono aziende e la famosa Azienda Italia in nome della quale si sollevarono grandi polveroni finì come la Parmalat. Conviene - anzi è d'obbligo - partire invece da cosa questo florilegio di soggetti istituzionali elettivi e derivati gestisce, su quali scale e anche con quale interdisciplinarietà. E per questo non bastano e talvolta non servono le forbici e neppure il machete che può far solo danni.
E torniamo così al punto da cui siamo partiti e cioè quegli aspetti vecchi e nuovi che non riguardano unicamente ma sicuramente in misura prevalente questioni di rilevanza ambientale che oggi faticano a trovare quei momenti di intersettorialità condizione indispensabile per qualsiasi politica di programmazione che non sia mera chiacchiera.
Prendiamo le energie rinnovabili che in questo momento stanno tenendo banco non solo in Toscana specie dopo le recenti decisioni del governo. Le divisioni non riguardano se non in piccola misura chi le sostiene e le sollecita e chi le rifiuta in toto o quasi in nome della tutela del paesaggio ed anche di un certo tipo di agricoltura. La difficoltà vera sta nell'individuare correttamente quei punti di equilibrio tra eolico, solare e biomasse e paesaggio, una agricoltura rinnovata a filiera corta e un consumo del territorio agricolo disastroso e così via. Insomma una politica di programmazione del territorio che specie in questo caso non può certo riguardare la scala comunale soprattutto quella tanto frammentata che si vorrebbe ridurre, ma ambiti territoriali e ambientali più ampi dove i confini amministrativi ( e i campanili) contano poco o niente. La stessa musica riguarda ambiti territoriali costieri dove oggi si sta discutendo con non minore animazione di porticcioli, erosione, utilizzo di spiagge, autostrade, trafori ma anche di aeroporti. Incontriamo così la Val di Cornia, il Parco della piano fiorentina. i monti livornesi, il parco delle Apuane ecc ecc. E qui c'è una prima considerazione critica da fare dopo che si è rimesso in discussione con esiti che al momento non siamo in gradi di valutare il PIT.
Quella revisione era ed è opportuna e anche urgente perché quel che difettava o mancava era proprio la individuazione di quegli ambiti - chiamiamoli così - territoriali non vincolati dai confini amministrativi troppo stretti o troppo ampi in cui ricondurre in quella chiave intersettoriale ossia integrata politiche di programmazione e di governo del territorio idonee a superare e comporre quei conflitti settoriali altrimenti destinati ad esasperarsi vanificando o ritardando gestioni appunto di pianificazione ambientale.
Se qualcuno ha dei dubbi sulla necessità e urgenza di rivedere i criteri del PIT che ancoravano tutto all'idea che la pianificazione deve e può essere affidata esclusivamente ai livelli elettivi dia un'occhiata alle vicende della Val di Cornia e a quella della Piana fiorentina. Nel primo caso la presenza storica ormai del Parco della Val di Cornia -che pure ha notevoli differenze rispetto agli altri parchi regionali toscani sta inducendo quel territorio ad evitare scelte che avrebbero effetti ambientali assai negativi. Ma forse ancor più esemplare è la vicenda della Piana rispetto alle scelte per Peretola. Il parco della piana fiorentina non un parco regionale ma un'area in cui più comuni hanno definito e concordato vincoli urbanistici intercomunali. Così nel momento in cui si deve decidere che tipo di pista costruire per Peretola si deve tener conto di altre scelte; termovalorizzatore, agricoltura etc. Non so come andrà finire ma è certo che qualunque sarà la decisione dopo la richiesta e accolta pausa di riflessione le esigenze di quel territorio a parco dovranno essere tenute in conservazione in misura assai diversa da quella che sicuramente gli sarebbe stata riservata se quei comuni non si fossero messi
Insieme. Il che conferma tra le altre cose che i comuni non solo non hanno nulla da perdere con il parco ma tutto da guadagnare come è emerso chiaramente anche il 28 febbraio a Firenze dalla assemblea nazionale per il rilancio dei parchi promossa dal gruppo di San Rossore. Ed è anche questa una buona ragione per riaprire al più presto il confronto anche in Toscana sulla nuova legge regionale sui parchi.