[10/03/2011] News toscana
LIVORNO. Le recenti considerazioni di Vannino Chiti sugli assetti istituzionali e le provocazioni di Moschini pubblicate su greenreport, stimolano ad andare oltre, almeno nel campo del governo del territorio. Direi è necessario discuterne perché la Toscana, al giro di boa del federalismo di stampo leghista, arriva forse esausta e altrettanto confusa.
Per ragionare appare però necessario un breve percorso storico, flash che sconteranno ovviamente il rischio e la problematicità delle sintesi estreme:
1. tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta, con la LRT 10/1979 e la LRT 59/1980 la Toscana compie una rivoluzione urbanistico-territoriale ed economica: recupero dei centri storici, valorizzazione e recupero della campagne, degli insediamenti agricoli, del paesaggio toscano; insomma la regione è all'avanguardia; come si dice ci "rincorrevano", in tutta europa per capire questo modello dove cultura e lavoro si fondevano e davano luogo ad una rinascita produttiva (la riaffermazione dei grandi vini e dei buoni prodotti agricoli, della gastronomia, il turismo diffuso e non solo delle città d'arte, la rinascita dell'artigianato);
2. gli anni novanta sono segnati invece dalla LRT 5/1995, dal nuovo modello di pianificazione che introduce piano strutturale e regolamento urbanistico, PTC - piano territoriale di coordinamento e PIT - piano di indirizzo territoriale. La regione è ancora all'avanguardia, fiorisce una nuova stagione urbanistica, forse permane qualche confusione sul ruolo del PTC che però è una struttura di relazione territoriale e di definizione di caratterizzazioni funzionali, di specializzazioni territoriali, ovvero caratteristiche da tutelare e valorizzare; il PIT invece arriva troppo tardi e in fretta e furia risultando debole, soprattutto là dove doveva scegliere perentoriamente, perché quelli sono i temi della scala regionale: porti, infrastrutture a rete, aeroporti, ospedali.
3. il nuovo secolo nasce all'insegna della riforma del titolo quinto della Costituzione, dell'interpretazione, forse non proprio esatta, estrema, del principio di sussidiarietà che sostanzialmente indebolisce gli strumenti della pianificazione e la filiera dei meccanismi di controllo di conformità, non risolve il problema dei tempi lunghi della pianificazione, emargina le province, tende ad affidare a tutti i livelli istituzionali la competenza su qualsiasi tema, oggetto, fattispecie, conduce ad una sorta di entropia urbanistica e fa salvi solo i legami politici tra responsabili locali e regionali, sopra ed al di fuori del controllo tecnico-amministrativo, politico, sia dei consessi elettivi, sia della filiera partitica per quanto la si possa vituperare (a torto e a ragione).
Oggi i comuni sono stremati: progressiva riduzione dei trasferimenti, assurdità dei patti di stabilità che hanno scaricato in basso l'incapacità di far quadrare il bilancio dello stato centrale, nuovo confuso federalismo che sembra profilarsi come occasione per una crescita dell'imposizione fiscale locale a fronte di servizi da garantire al territorio ai cittadini, sembrano essere gli avamposti di un disastro prossimo futuro.
In questo contesto riproporre il tema degli assetti istituzionali (e dentro ci stanno anche i parchi) non è solo necessario per superare le problematicità dei piccoli comuni, per favorire la corretta utilizzazione di risorse scarse. Ben vengano gestioni associate, unioni dei comuni, anche aggregazione e riduzione dei comuni, ma occorre anche una corretta riallocazione delle competenze e delle responsabilità ( perché nel sistema attuale anche queste sfumano).
Ed è inutile girare attorno al problema, ad ogni ente - livello istituzionale devono corrispondere competenze specifiche, responsabilità direi oggettive di governo (per fare un esempio a caso: porti e aeroporti, autostrade non hanno che rango regionale) e deve decidere la regione come e dove fare queste infrastrutture e ciò non vuol dire decidere da soli, non ascoltare, non confrontare, ma significa darsi tempi ragionevolmente brevi di scelta nei consessi elettivi dovuti, cioè nelle giunte e nei consigli, in luogo di accordi che si ratificano.
Ovvio che qui dentro sta anche la partita per ridisegnare l'urbanistica toscana, virando verso il recupero e la trasformazione dell'esistente, potremo dire ripescando e aggiornando la LRT 59/1980, nel concreto, dopo le narrazioni, spesso anche deliziose ma vacue, di molti piani strutturali o le molte stanche e vuote elaborazioni paesaggistiche che appaiono spesso omaggio alle definizioni della legge con scarsa concretezza in termini di tutela reale del territorio.
Qualche timido segnale esiste, sappiamo per esempio che la facoltà di architettura di Firenze sta tentando una nuova elaborazione di principi proprio per definire una nuova stagione del recupero, può essere un contributo importante e sarebbe bene che altre istituzioni si muovessero, ma non basta, occorre anche e soprattutto che la regione, se ci crede, avvii una stagione di confronto con il territorio, direi provincia per provincia, sia a livello politico, ma anche e soprattutto a livello tecnico perché una nuova stagione, come accadde agli albori degli anni ottanta, è frutto anche e soprattutto di una rivoluzione culturale.