[14/03/2011] News
LIVORNO. Le notizie contraddittoria che vengono dalla Libia hanno comunque un'unica certezza: le milizie e i mercenari di Muammar Gheddafi stanno riconquistando terreno e soffocando nel sangue la rivolta. Probabilmente la guerra civile è stata anche l'occasione per una resa dei conti tribale che peserà molto nel futuro del Paese se Gheddafi manterrà il suo potere, il più pazzo dei suoi figli sta già mettendo in atto una pulizia "etnica" spietata contro i ribelli e quel che potrebbe accadere nella roccaforte della senussia di Bengasi potrebbe essere un vero e proprio massacro, un repulisti degli oppositori che ancora inalberano le bandiere nere, rosse e verdi con la mezzaluna e la stella dell'indipendenza libica.
Mentre l'Italia fa i conti dell'attuale aumento del costo della benzina e di quello futuro della bolletta elettrica e del gas, il tremebondo occidente che finora ha cianciato solo di no-fly zone si trova ora a fronteggiare "il cane pazzo" di Tripoli che sta nuovamente rimuginando in silenzio le vendette verso i traditori italiani, baciatori di mani e concessionari di petrolio e gas, e le rivoluzioni democratiche tunisina ed egiziana che si sono schierate con i suoi oppositori chiedendo all'Onu la no-flay zone per impedire il bombardamento delle città ribelli.
Ma la resurrezione di Gheddafi, armi e petrolio alla mano, è stato anche un segnale per regimi che sembravano ormai agonizzanti: in Bahrein e nello Yemen la polizia di regime ha ripreso a sparare sui manifestanti e l'Arabia Saudita, dopo le timide aperture democratiche, sembra pronta a reprimere la minoranza sciita accusata di essere la quinta colonna dell'Iran ed ha già inviato i suoi blindati e i suoi aerei contro gli sciiti yemeniti e del Baherein. Nello Yemen intanto sta riprendendo forza la guerriglia secessionista del sud che prima dell'unificazione è già stato indipendente come unico Stato "comunista" del mondo arabo.
La primavera dei gelsomini sembra sfrangiarsi in tante rivoluzioni e contro-rivoluzioni, tra monarchi illuminati come quello marocchino che guidano il cambiamento costituzionale e dittatori che massacrano i loro popoli.
La situazione più pericolosa è certamente quella libica che rischia nella migliore delle ipotesi una specie di balcanizzazione alla Jugoslava se l'avanzata di Gheddafi verrà fermata, oppure, nel peggiore dei casi, un regime reso ancora più feroce dall'isolamento internazionale che stavolta non potrà essere rotto dalle cedevoli furbizie berlusconiane e dal cinismo di inglesi e francesi.
Non a caso nessuno, prima dell'attacco degli insorti partito da Bengasi, metteva il regime di Gheddafi tra quelli a rischio, non a caso l'allontanamento dal "cane pazzo" è stato tanto repentino quanto l'innamoramento del guascone che ci governa e dei suoi più prudenti colleghi occidentali.
Probabilmente le tende beduine non saranno più montate accanto al Colosseo e l'Italia non ospiterà più caroselli di cavali arabi e lezioni di corano e conversioni all'islam di hostess ed escort, ma quel che preoccupa di più è nuovamente la materia che ha consentito all'Italia ed all'Occidente di fare affari e stringere mani e patti con il regime dittatoriale libico: il petrolio.
Se Gheddafi soffocherà sotto le bombe e nel sangue del suo popolo la rivolta, avremo sulla nostra frontiera marittima meridionale non più l'amico che fermava, torturava e violentava i poveracci "neri" che risalgono il Sahara dall'Africa, ma il nemico che li userà come armi viventi per destabilizzare il nostro Paese, aprendo cavalli di frisia e porti, trasformando i trafficanti di carne umana in agenti di destabilizzazione, come del resto ha già fatto in passato.
Ma quello che probabilmente tutti si stanno chiedendo è chi metterà le mani sul petrolio e sul gas libico se Gheddafi procederà, come già fece negli anni '70, all'espulsione degli italiani colonialisti e traditori, che ne sarà delle partecipazioni dell'Eni ai più grossi campi petroliferi del Paese, dei lauti appalti per autostrade e infrastrutture concessi alle imprese italiane in cambio dei danni di una guerra coloniale di quasi 100 anni fa e della repressione brutale dei migranti e dei profughi politici.
Probabilmente, se Gheddafi e la sua oscena famiglia di aguzzini e le sue inferocite truppe tribali con alla testa i mercenari più feroci dell'Africa riusciranno a vincere anche l'ultima resistenza, l'eterno dittatore di Tripoli si troverà assediato nel suo scatolone di sabbia da un boicottaggio internazionale e in conflitto con le nuove e deboli democrazie arabe. Ma il cordone sanitario intorno ad un dittatore sanguinario che massacra il suo popolo senza ritegno sarà subito violato (e probabilmente lo è già) dai russi e dai cinesi, che già si oppongono ad ogni azione contro il regime libico. E' vero che oggi il presidente russo Dmitri Medvedev ha annunciato che «Gheddafi, la sua famiglia, i suoi ministri e i capi militari, non potranno entrare in Russia» e che sarà vietata la possibilità di operazioni finanziarie libiche, ma probabilmente è dalla sempre più alternativa porta putiniana che Berlusconi e l'imprenditoria italiana cercheranno di rientrare nelle grazie di Gheddafi, per ricostituire quel trio di amici legato dal petrolio e dal gas che ha rappresentato un pericoloso diversivo all'alleanza occidentale-europea. Senza dimenticare i cinesi assetati di petrolio, gli unici comunisti ammirati da Berlusconi insieme all'altro immarcescibile dittatore ucraino Lukashenko, che aspettano solo che Gheddafi abbia ristabilito l'ordine per tornare in Libia, con più operai e tecnici di prima per sostituire i traditori.