
[11/09/2009] News
FIRENZE. E' passata relativamente inosservata la notizia relativa alla tecnologia, recentemente presentata dall'associazione inglese degli ingegneri meccanici (Institution of mechanical engineers), per la messa in opera di strutture definite "alberi artificiali" finalizzate alla cattura e allo stoccaggio di CO2.
Il nome non deve naturalmente ingannare: si tratta di strutture (vedi il rendering nell'immagine) dove l'aria viene fatta passare attraverso filtri che catturano la CO2 in modo analogo alle foglie degli alberi "tradizionali". La differenza con questi ultimi sta però nel fatto che il carbonio separato dall'aria non viene utilizzato per la creazione di nuova materia, ma che esso è destinato ad essere sepolto in depositi sotterranei tramite la tecnologia del Carbon capture and storage (Ccs).
La tecnologia resasi disponibile è quindi da riportare nella categoria della geo-ingegneria, e in particolare ruota attorno alle nuove proposte che vari gruppi di interesse, soprattutto nei paesi anglosassoni e negli Usa, stanno sottoponendo all'attenzione dell'opinione pubblica per sottolineare il potenziale contributo che l'ambito tecnologico in questione in generale - e il Ccs in particolare - possono dare alla mitigazione del global warming.
I singoli "alberi", come riportato dal "Corriere", «sono grandi come container da trasporto, ciascuno potrebbe assorbire circa una tonnellata di CO2 quotidiana e, prodotti in serie, costerebbero circa 20 mila dollari l'uno», e contestualmente alla presentazione sono stati esposti anche progetti relativi all'utilizzo di alghe situate in contenitori all'esterno degli edifici, che poi verrebbero utilizzate per la produzione di biocarburante con in aggiunta, come spiega il sito dell'associazione, di un meccanismo di sequestro della CO2 catturata.
La seconda tipologia di progetto discussa appare interessante perchè, se alla naturale fotosintesi clorofilliana si aggiungesse lo stoccaggio del carbonio intercettato, allora il bilancio finale delle emissioni non sarebbe "nullo" come (almeno in teoria) nel caso del Ccs associato alle centrali a carbone o a gas, ma addirittura esso diverrebbe negativo, cioè si avrebbe una sottrazione netta di CO2 dall'atmosfera. Il bilancio effettivo (cioè "dalla culla alla tomba", come si dice) degli alberi artificiali, invece, è tutto da chiarire.
E', questa, una prospettiva che Nicholas Stern, nel suo recente testo "Un piano per salvare il pianeta", sottolinea con forza nel suo dichiararsi favorevole all'utilizzo di tecniche di geo-ingegneria da sommare alle altre misure (prima tra tutte quella dell'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, ma va ricordato anche il sostegno che l'economista inglese dà all'energia nucleare) finalizzate a mitigare il surriscaldamento globale.
E il punto è proprio la prospettiva cui guardare, come sempre avviene riguardo alle questioni inerenti alle tecniche di geo-ingegneria in generale e in particolare al Ccs: se davvero si potessero sommare gli sforzi intrapresi per contrastare il Gw, cioè se ci fosse spazio economico, logistico e politico tale da permettere un forte sostegno sia alle tecniche di geo-ingegneria sia a quelle per il risparmio di materia e di energia, allora niente impedirebbe di proseguire gli sforzi in entrambe le direzioni.
Ma così non è: siamo di fronte da una parte a tecnologie (come le energie rinnovabili) che sono praticabili solo insieme ad un grande processo di evoluzione culturale che conduca ad un utilizzo sobrio e consapevole dell'energia e della materia disponibili sul pianeta a tutti i livelli, da quelli dirigenziali all'uomo della strada, e dalle Pmi alle multinazionali.
Dall'altra parte, invece, le tecnologie disponibili (pensiamo anche alle sperimentazioni attuate per la fertilizzazione degli oceani con minerali di ferro o alle proposte per la liberazione di zolfo in atmosfera) sono finalizzate a riparare "a valle" i danni prodotti "a monte", peraltro con una spesa aggiuntiva non solo di risorse economiche, ma anche e soprattutto utilizzando altra energia e quindi liberando ulteriore CO2, e agendo su un meccanismo (quello del clima) ancora non compreso pienamente nelle sue dinamiche.
Da quanto scritto si capisce il perchè della sostanziale, vicendevole autoesclusione che all'atto pratico si crea tra i due percorsi sociali ("energetici") che il mondo potrà compiere nel prossimo futuro: sono diverse le prospettive, e soprattutto sono diversi i gruppi di interesse che sostengono le due diverse strade che potenzialmente potranno essere intraprese dalla società globalizzata. Ed ecco che, quindi, la coperta si rivela corta per quello che è, e di conseguenza si capisce perchè sussistano forti dubbi sulla possibilità che l'effetto delle due tipologie di mitigazione del global warming si possano effettivamente sommare tra loro. (rm)