[14/09/2009] News

I viaggi di una t-shirt nell'economia globale di Pietra Rivoli

«Chi ha fabbricato le vostre T-shirt?. Un bambino in Vietnam, incatenato a una macchina da cucire senza cibo né acqua? O una bambina indiana che guadagna 18 centesimi all'ora e ha il permesso di andare in bagno solo due volte al giorno? Sapevate che vive in una stanza con altre 11 persone? Che è costretta a lavorare 90 ore alla settimana senza paga per gli straordinari? Sapevate che non ha diritto di parola né il diritto di aderire a un sindacato? Che vive non solo in povertà, ma anche nel sudiciume e nella malattia e tutto nel nome del profitto della Nike?».

E' proprio da qui ed in questi anni - per dare anche una risposta alle domande provocatorie della manifestante no-global davanti alla Georgetown University nel 1999 (poco dopo inizierà il movimento di Seattle) - che parte il viaggio-studio di Pietra Rivoli, economista insegnante alla McDonough School of Business della Georgetown University e autrice del libro "I viaggi di una T-shirt nell'economia globale".

«Questo libro racconta la storia delle persone, delle forze politiche e dei mercati che hanno prodotto la mia maglietta di cotone. È una storia sulla globalizzazione. È giusto chiedersi se la biografia di un semplice prodotto possa contribuire ai dibattiti attuali sul commercio globale. Di solito, le storie oggi sono fuori moda nel campo delle ricerche economiche. Poche conseguenze possono essere dedotte dalle storie, si dice, perché ci offrono soltanto degli aneddoti... le storie non ci consentono di formulare una teoria, di testarla o di fare generalizzazioni...».

Ma non è così perché ogni tipo di prodotto ha una sua storia sociale e anche ambientale (che purtroppo la Rivoli non calcola o almeno non intreccia con l'aspetto economico e sociale). Pietra Rivoli insegue una maglietta da 5,99 dollari comprata in un emporio vicino all'aeroporto di Walgreen in Florida: passa da un campo di cotone in Texas a una fabbrica cinese, dai negozi commerciali di Washington fino al mercato degli abiti usati.

La maglietta della Rivoli è nata infatti in Texas, grazie a una lunga tradizione di politiche di assistenza pubblica che ha protetto i coltivatori di cotone da alcuni rischi tra cui quello dei prezzi, il mercato della manodopera, il credito e pure le condizioni meteo. Una serie di infrastrutture economiche, politiche e universitarie degli Usa che promuovono un'efficace partnership dei settori privati e pubblici che facilita l'innovazione e il progresso tecnico.

Il filo di cotone si sposta in Cina dove viene lavorato, trasformato in tessuto e cucito. La maglietta è stata prodotta sotto il regime statale degli ukou (classe sociale) che limita la mobilità della manodopera e la flessibilità del mercato. Ma che ha consentito a molte donne di emanciparsi (verso gli anni ‘90 gli studi di una sociologa cinese dimostrarono che per molte operaie il motivo che le aveva spinte nei centri industriali non erano i soldi ma bensì il desiderio di autonomia impossibile da ottenere nei loro villaggi).

Le regole del gioco che governano la produzione mondiale di t-shirt sono il risultato anche degli sforzi di generazioni di attivisti che continuano a contrastare e talvolta a orientare  le leggi che regolano il lavoro e il comportamento delle multinazionali americane (come per esempio le campagne di boicottaggio per far cambiare atteggiamento delle aziende nei confronti dei lavoratori o le pratiche di consumo critico). Certo, come dimostra il viaggio della Rivoli, la maggior parte delle aziende coinvolte nella storia è però costituita da imprese a conduzione familiare relativamente piccole.

Il viaggio della maglietta comunque non è finito: torna in Usa (perché comunque le maglie vengono prodotte per essere esportate) ma il suo ingresso è regolato da una serie di limitazioni politiche dei mercati in cui sia i produttori dei paesi ricchi sia quelli dei paesi poveri cercano protezione dai mercati soprattutto dalla minaccia cinese. Ma le regole dei dazi e delle quote limitative sul prodotto-maglietta, ha l'effetto di incentivare la ricerca e poi l'esportazione di magliette di più alta qualità o  addirittura di altri prodotti.

E solo quando la maglietta va a finire sui banchi dei negozi, ma soprattutto di quelli dell'usato, che la storia della maglietta da "storia di politica economica" si trasforma in "una storia di mercato" (perché - nella storia della t-shirt della Rivoli - il mercato è "libero" solo a questo punto) : il mercato globalizzato tanto libero non è (perché condizionato dalla politica economica degli Stati) e non è vero che il "pubblico" ha diminuito la sua presenza regolatrice sul mercato, lo ha semplicemente fatto in modo diverso.

Il problema quindi alla fine non sono solo le regole: né quelle che non hanno funzionato (il proibizionismo americano nel campo del cotone); né quelle nuove che devono esser introdotte e garantire la concorrenza.

La questione sta nel come riorientare l'economia verso la sostenibilità. Nell'attuale situazione globale in cui è emerso chiaramente che esiste un intreccio fra crisi ecologica, climatica economia e sociale, in cui è pure emerso che l'attuale modello di sviluppo (mirato a una crescita illimitata) impedisce di garantire un futuro stabile al pianeta - tant'è che in Usa si è aperto con Obama il "green new deal" - le misure necessarie a scongiurare un declino dovrebbero essere sì ambiziose, innovative e creative, ma anche ponderate sui limiti delle risorse materiali ed energetiche.

Per riscrivere un'economia globale basata su paradigmi diversi rispetto a quelli del passato e del presente la crescita illimitata non potrà essere il "totem": il modello economico dovrà tenere conto dei limiti delle risorse, delle disuguaglianze con cui queste vengono utilizzate e la disparità fra chi ha ricchezza in capitale naturale e chi lo sfrutta per garantire il proprio tenore di ricchezza.

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