[15/09/2009] News

Marchetti (Istituto naz. di geofisica): «Gli strumenti per avere una mappa dettagliata delle navi dei veleni ci sono»

GROSSETO. Il ritrovamento del relitto di un mercantile carico di fusti sospetti al largo di Cetraro, avvenuto il 12 settembre 2009, conferma le denunce di Legambiente sulle "navi a perdere", affondate in mare volontariamente per smaltire in modo rapido e illegale rifiuti tossici e radioattivi.

Dopo anni che le inchieste avviate, in particolare quella condotta dal magistrato Francesco Neri della pretura di Reggio Calabria, che si allargò a macchia d'olio e portò alla  raccolta di dati, indizi, testimonianze, venne poi passata dalla pretura alla procura e poi nel 2000 archiviata dall'ufficio del Gip, perché in sostanza mancava il "corpo del reato", adesso il velo sembra squarciarsi.

Il disegno di smaltimento in mare dei rifiuti radioattivi era stato confermato (nel precedente governo Berlusconi)  dal ministro  Carlo Giovanardi, che per conto del governo fornì risposta a una interrogazione fatta da Ermete Realacci - come si legge sul libro Terre blu di Legambiente - in cui sosteneva che «da un'attenta analisi dei documenti è emerso un imponente progetto per lo smaltimento in mare dei rifiuti radioattivi con la scelta dei vari siti che , nel pianeta e anche nel mare Mediterraneo, avrebbero raccolto i pericolosi rifiuti».

Ma quello che mancava era la certezza che queste navi ci fossero e che  davvero venissero utilizzate per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, un necessario accertamento dei fatti che era una delle richieste che avanzava il Comitato per la verità sui traffici nazionali e internazionali di rifiuti e materiali radioattivi, nato lo scorso anno da Legambiente e cui hanno aderito giornalisti, magistrati e rappresentanti istituzionali.

Adesso la giostra sembra ripartire grazie al riscontro delle dichiarazioni del pentito di ‘ndrangheta che hanno messo in evidenza che le navi affondate, almeno a largo di Cetraro, ci  sono.

Si tratta ora di mettere in evidenza se il "corpo del reato" è davvero costituito da materiale radioattivo e quindi dar vita ad un articolato monitoraggio per ritrovare le altre navi affondate e cosa nascondono nel fondo degli abissi del Mediterraneo.

«Il ritrovamento pone le premesse per una immediata azione delle Istituzioni per riportare a galla la verità fino ad oggi rimasta in fondo al mare.- scrive Legambiente in una nota- Utilizzando le tecnologie già disponibili occorre recuperare al più presto tutti i relitti con i relativi carichi di veleni e procedere all'immediata bonifica. È in gioco la salute dei cittadini e del delicato ecosistema del Mediterraneo».

Una task force del ministero dell'Ambiente è intanto già operativa per fare i rilevamenti necessari a mettere in evidenza cosa trasportava la nave affondata al largo di Cetraro. Ma ci sono gli strumenti idonei per fare questo tipo di rilevamenti? E come portare avanti le ricerche per scoprire la mappa delle navi dei veleni e far luce sui relativi carichi affondati? 

«I mezzi ci sono, basta volerlo» ci ha detto Marco Marchetti, dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.

«Del resto il ritrovamento della nave affondata in Calabria lo dimostra- ha proseguito Marchetti- Servono rilievi magnetici in alta risoluzione per individuare masse ferrose, come possono essere le navi. Dopodichè effettuare rilievi con ecoscandaglio multifascio e sonar a scansione laterale per avere una visione dei fondali, la definizione della morfologia e l'individuazione di strutture emergenti, e poi con  l'impiego di robot sottomarini dotati di telecamera telecomandata andare a vedere di cosa si tratta. C'è da dire che le profondità non sempre sono favorevoli e quando si tratta di fare indagini di questo genere a 3-4.000 mila metri la situazione è più complessa. Ma come ho avuto modo di dire altre volte, basterebbe che venisse riunito un tavolo con tutti gli istituti scientifici che operano sul Mediterraneo e che hanno già banche date assai copiose, dalla carte delle anomalie magnetiche a quelle batimetriche a rilevazioni in 3 dimensioni,  e anche in situazioni meno favorevoli senza bisogno di impiegare grandi risorse economiche sarebbe possibile mettere in evidenza cosa c'è sotto. E' evidente che operare sulla base di indicazioni precise è senza dubbio più semplice».

Ma questo tipo di riscontri se servirebbero per individuare gli eventuali relitti affondati non dicono nulla però sulla natura di cosa celano nelle stive?

«Certo poi è necessario fare indagini attraverso prelievi e analisi sul carico che immagino dovrà essere fatto riemergere. Ma le tecniche, almeno per la riemersione ci sono. Sulle analisi non mi pronuncio perché non è il mio campo».

L'Istituto presso cui lavora è impegnato in queste indagini?

«Stiamo lavorando molto sulle rilevazioni a terra, che è il nostro campo di lavoro. Per questo abbiamo avviato un protocollo con la Forestale e con i Carabinieri, che sono stati dotati di strumenti maneggevoli dotati di un sistema gps e formati da noi. Loro svolgono le rivelazioni sul campo e inviano i dati al nostro sistema operativo che è in grado di rilevare la presenza di grossi ammassi di materiale ferroso e da lì parte la ricerca di eventuali fusti interrati. Un sistema che può dare un contributo sostanziale alle indagini sugli smaltimenti illegali di rifiuti tossici a terra».

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