
[22/10/2009] News
LIVORNO. Difficilmente la decrescita può essere felice, a meno di un rovesciamento assai improbabile se non impossibile, della cultura occidentale. Ne è ulteriore prova la lettura che dà della sua situazione economica il gruppo Espresso, che sulle pagine di Repubblica titola "Espresso, nove mesi in utile, crescono le vendite di Repubblica". E' quanto di più ovvio ci possa essere, il fatto di nascondere magagne o quantomeno evidenziare righe positive per sottrarre l'attenzione da quelle negative, ma in questo caso Repubblica ha dovuto lavorare molto di fantasia, vista che la tabella sopra il titolo, con i numeri nudi e crudi, snocciola: fatturato - 15,9% (di cui diffusione -0,08; pubblicità -22,3%; opzionali -15,7%); margine operativo lordo -51,8%; risultato operativo -68,8%; risultato anet imposte -79,7%; risultato netto 97,2%.
In ogni caso, la decrescita è una magagna, non un valore da leggere in senso positivo. Soprattutto poi se questa magagna si traduce in fatti molto concreti come i tagli di personale. All'Espresso per ora non sembra muoversi granché ma, esempio 1, il piano Hachette Rusconi prevede 21 giornalisti in meno, tra pensionamenti e prepensionamenti; ed esempio 2, Mondadori ha chiesto lo stato di crisi con esuberi stimati in 82 giornalisti e 181 poligrafici.
Queste altre due notizie fanno capire bene quale sia lo stato di salute dell'informazione italiana, presa tra le morse delle crisi globali; tra quelle di una crisi identitaria tutt'altro che facile a risolversi nel rapporto con il web, la sua (discussa e forse discutibile) gratuità e la sua attendibilità; e infine tra le morse anche di una crisi endogena, provocata o indotta dall'attuale imbarazzante presidenza del consiglio, che ha fatto scivolare ancora più giù l'Italia nella già tremebonda classifica sulla libertà di stampa nel mondo (Reporter sans frontieres l'ha appena arretrata al 49esimo posto).
Ma detto tutto questo, ed evidenziando anche l'unico (dipende dai punti di vista) aspetto positivo della trimestrale di Repubblica, cioè la tenuta della diffusione delle copie, dobbiamo però sottolineare anche che il mercato finanziario ha bellamente ignorato questo dato, mantenendo la sua attenzione sui segnetti davanti ai numeri, e rispondendo quindi con una iniziale caduta a Piazza Affari del 5%, per poi recuperare e chiudere in calo del 2,38%.
Infine un'ultima considerazione, che peraltro può apparire piuttosto ovvia. Nelle previsioni per l'ultimo trimestre 2009 e per tutto il 2010 i gruppi editoriali non si aspettano grandi riprese, se non un'eufemistica "attenuazione del calo della raccolta pubblicitaria". Questo calo di pubblicità ravvisato dal gruppo L'Espresso (che è comune a tutta l'editoria italiana) evidenzia che nelle fasi di crisi le prime spese (ma in questo caso dovremmo parlare di investimenti) ad essere tagliati, sono quelli legati alla comunicazione, che comprende ovviamente anche la pubblicità. Veduta probabilmente corta in una società dei consumi che proprio grazie alla pubblicità ha raggiunto livelli ormai parossistici che fanno quasi ripensare con tenerezza alla nascente Società dei consumi teorizzata da Baudrillard nel 1976. Tutto ciò ha a sua volta come conseguenza probabile (sballottata da mille altri fattori) un ulteriore calo dei consumi e un - un po' meno probabile o comunque meno vistoso - calo dei rifiuti.