[26/10/2009] News toscana
FIRENZE. Si dice che una società che guarda al futuro investe in conoscenza. Da questo punto di vista né l'Italia né la Toscana guardano al futuro. Ma conoscenza per fare cosa, per quale futuro? Perché non sia un'affermazione banale o ideologica (per cui solo il futuro disegnato da una parte è quello buono), consapevoli che per fare centrali nucleari o sofisticate armi occorre conoscenza, bisogna allora cominciare a dire qual è il modello sociale a cui aspirare e quali conoscenze sono necessarie. E questo dipende molto, soprattutto per una regione così ricca di storia e conoscenza sedimentata, dalle condizioni in cui si trova.
La Toscana investe poco in conoscenza non perché le sue classi dirigenti siano disattente, ma perché non riescono a farne massa critica, un volano di investimenti che trascini anche il settore privato.
Tra quindici anni- diceva una ricerca IRPET del 2004- (dieci da oggi) sarà una regione di vecchi dove gli immigrati stranieri saranno il 12-13%, in alcune zone supereranno il 20.
Ci stiamo mangiando a ritmi insostenibili la risorsa futura fondamentale: il territorio, che altre regioni non hanno più e la cui conservazione potrebbe fare la differenza.
Si sta consumando il passato per un turismo che ferisce il paesaggio e logora opere d'arte e centri storici con comportamenti colonialisti.
Le classi dirigenti riproducono se stesse e bloccano la mobilità sociale.
Questi sono solo alcuni dei problemi della Toscana se si guarda al futuro ma che si accentuano nello scenario globale.
Nel caos sistemico molte sono le risposte (spesso contraddittorie): dalla riproposizione tout court dell'economia finanziaria che ha portato alla crisi, ai tentativi di riequilibrio tra grandi economie (Usa e Cindia ma anche Brasile, Russia, ecc.); un nuovo ciclo di sviluppo economico fondato su tecnologie "verdi" che chiedono grandi investimenti in ricerca e che, sia pure fondate su fonti energetiche rinnovabili, usano materia e risorse che non lo sono (suolo, materie prime, acqua, agricoltura, ecc.) e comunque mirate a perpetuare alti livelli di consumo; di nuovo un ciclo di crescita economica fondato sulla concentrazione delle risorse in poche potenti mani (gasdotti, centrali nucleari, il ritorno a politiche di potenza degli stati mentre le multinazionali si spartiscono il resto).
Questo ci dice, però, che non è possibile e non ci sarà una sola forma economica globale. Questa consapevolezza dovrebbe spingere le classi politiche locali a ricercare proprie vie originali di sviluppo sostenibile.
Tutto si fa pur di non modificare l'insostenibile stato delle cose, per non attivare, per via democratica, modelli sociali, culturali e di comportamento locali fondati sull'equità, la sobrietà e l'eguaglianza sapendo che le vere differenze non stanno tanto nelle strutture economiche quanto nella forma sociale, nei sistemi di relazione, nei fondamenti democratici (di conseguenza etici e morali) della convivenza e del bene comune.
Se la Toscana è in ritardo sul versante della conoscenza e su quello tecnologico, non lo è su quello della convivenza civile e del radicamento di un rapporto profondo fra storia e presente, nonostante tutto, e su questo modello potrebbe fondare il rilancio della propria "missione" nel mondo e non ridursi a diventare la discarica di un modo di produzione banale e distruttivo o la Florida dei pensionati e dei fondi pensione europei o dei nuovi ricchi delle mafie dell'est.