
[31/07/2009] News
FIRENZE. La pubblicazione del rapporto sul biologico da parte della Food standards agency, agenzia governativa britannica sulla sicurezza alimentare creata nel 2000, ha destato un notevole scalpore sulla stampa italiana. Come ampiamente riportato dai media, la notizia è che secondo lo studio (basato sulla rassegna della letteratura scientifica in materia negli ultimi 50 anni) non sussisterebbero vantaggi nutrizionali significativi tra i cibi biologici e quelli prodotti con tecniche di agricoltura e allevamento oggi considerate "convenzionali".
Attenzione, però: la ricerca (che è stata, almeno da quanto si legge sul sito della Fsa, sottoposta ad un adeguato procedimento di peer-reviewing e va quindi considerata attendibile) si è focalizzata sui soli aspetti, appunto, nutrizionali: è stato cioè dimostrato che il contenuto organolettico dei cibi biologici e di quelli convenzionali è praticamente lo stesso.
E, francamente, può darsi che la ricerca sia tendenziosa o inesatta nei risultati, ma questa conclusione non deve destare scalpore: essendo qualsiasi organismo vivente assimilabile ad un vero e proprio laboratorio chimico, non si vede perchè il contenuto in fosforo, potassio o qualsiasi altro elemento contenuto all'interno di un prodotto alimentare dovrebbe essere così diverso a seconda se questo fosforo (o questo potassio, e così via) derivi dall'assorbimento per via "naturale" o da aggiunte fatte dalla mano dell'uomo.
Ciò che caratterizza il cibo biologico, infatti, è l'assenza di trattamenti concimanti e/o diserbanti con prodotti derivanti da sintesi chimica e, per quanto attiene l'allevamento, da forme di gestione del patrimonio zootecnico improntate ad una maggiore compatibilità con i naturali stili e ritmi di vita dell'animale. Sono, questi, tutti accorgimenti che portano ad un certamente maggiore grado di sostenibilità ambientale delle attività agro-pastorali, ma che non hanno un'automatica conseguenza in termini nutrizionali.
Non va confusa, cioè, la chimica "cattiva" con la chimica in sé, di cui siamo invece composti e grazie alla quale viviamo nel vero senso della parola. Non sembra quindi così assurda la conclusione cui giunge la ricerca, relativamente all'evidenziare per il biologico l'assenza di vantaggi per la salute umana dal solo punto di vista nutrizionale.
Altro discorso, sul quale la ricerca inglese sembra evidenziare invece delle carenze, è capire quali svantaggi comporti l'assunzione di prodotti chimici di sintesi su un organismo, come quello umano, che ancora (per motivi legati alla lentezza dell'evoluzione biologica rispetto a quella culturale) è più compatibile con molecole "naturali" rispetto alle loro riproduzioni derivanti da sintesi di laboratorio. La ricerca, cioè, ha evidenziato che, come si legge nel comunicato, «non esistono prove di benefici sanitari aggiuntivi derivanti dal mangiare cibo biologico», ma non che non siano possibili maggiori danni all'organismo derivanti dal mangiare cibo convenzionale.
E nemmeno è stata messa in dubbio la maggiore sostenibilità dei processi produttivi improntati al biologico. Peraltro, anche a questo proposito, occorre sfatare qualche mito molto radicato: la filiera del biologico è da considerarsi un modo per avere cibo più sano (anche se non più nutriente in valore assoluto), più tracciabile e derivante da processi più eco-compatibili rispetto alle tecniche oggi considerate "convenzionali". Ed è inoltre, il biologico, una delle principali dighe che nei prossimi anni potranno contrapporsi alla diffusione degli Ogm nel mondo. Ma occorre comunque ragionare in termini relativi, e non va commesso l'errore di pensare che tutto ciò che è coltivato/allevato con tecniche biologiche sia automaticamente "più sostenibile" da tutti i punti di vista: per esempio, è indubitabile che un allevamento "biologico" (inteso nel senso di "estensivo") porta tendenzialmente ad un consumo di suolo molto maggiore e ad un'efficienza energetica (oltre che economica) ben minore rispetto ad un allevamento intensivo.
E naturalmente ciò non mette in discussione il fatto che, dal punto di vista etico e del rapporto con la biosfera, sia mille volte più giusto e lungimirante che ad un animale destinato al macello si "conceda" perlomeno di vivere una vita più consona ai propri ritmi di vita, e questo discorso può essere ampliato dal "rapporto con gli animali" anche al "rapporto con la terra" e in generale a quello "con il pianeta": semplicemente, occorre ragionare in termini olistici, integrati, analizzando il concretizzarsi della sostenibilità tramite un bilancio comparato dei mille e mille fattori in gioco, e non commettere l'errore di pensare che tutto ciò che è (o che appare) "più sano" o "più equo" sia automaticamente anche da considerarsi anche "più sostenibile" sotto tutti i punti di vista.
Qui non è in discussione il forte sostegno che va dato alla filiera del biologico sotto l'aspetto politico ed economico, quindi: è in discussione la cronica tendenza del Belpaese (e anche di parte del suo apparato mediatico) ad affrontare le questioni inerenti alla sostenibilità in maniera emotiva, ideologica, acritica, in ultima analisi fideistica: uno studio inglese mette in discussione gli aspetti strettamente nutrizionali del biologico? Ecco che da alcune parti si grida allo scandalo, al "complotto degli scettici" anti-biologico (eresia! eresia! Il biologico è buono, è bello, è sano, è tutto! Come si permettono questi inglesi? Chi li paga?), e da altre si scatenano proprio quegli "scettici dell'ecologia in toto", che per un giorno, invece che sulla «grande balla» delle rinnovabili o sul global-warming, possono esprimersi sulla «grande balla» del biologico. E non sembra necessario chiarire esplicitamente a chi si riferiscono questi due "casi limite".
Va comunque detto, in chiusura, che produrre uno studio di questa portata e di questa attendibilità contenente solo i dati relativi agli aspetti nutrizionali del biologico (e non a quelli relativi alla salute umana e all'impatto sulla biosfera) non sembra il miglior modo, da parte della Food standards agency, di mettere in mano ai media e all'opinione pubblica input che aiutino a comprendere le cose nella loro complessità.