
[07/05/2010] News toscana
FIRENZE. Con la pubblicazione del documento di avvio del Piano strutturale (Ps) del comune di Firenze, molti si sono stupiti della presenza in esso di previsioni di edificazione, ritenendo che ciò vada in contraddizione con gli annunci più volte avanzati dal sindaco (e assessore all'Urbanistica) Renzi riguardo all'obiettivo dei "volumi zero". Più in dettaglio, nel documento (che ha comunque una prevalente natura di indirizzo) sono citate previsioni per 130.000 mq di superficie «a prevalente destinazione residenziale», 25.000 di commerciale/direzionale, 50.000 mq di industriale/artigianale, 59.000 mq di servizi («sport, cultura, sanità») e 13.000 mq di parcheggi privati.
In realtà, nelle varie occasioni in cui è stata annunciata l'intenzione di perseguire i "volumi zero", il sindaco ha sempre spiegato (evidentemente, però, in maniera insufficientemente esplicita) che non di "volumi zero in assoluto" si trattava, ma di "volumi aggiuntivi zero" rispetto alla pianificazione effettuata dalla precedente amministrazione, le cui previsioni di crescita e di sviluppo urbanistico erano da intendersi cioè come confermate.
Al di là di questo aspetto (e degli sviluppi che avrà la vicenda, anche nel corso del processo partecipativo propedeutico all'approvazione del Ps, che dovrebbe prendere il via tra giugno e luglio), nel documento di avvio del piano è citata come linea di indirizzo anche l'attivazione di «modalità perequative, già sperimentate in alcune città italiane, tali da poter consentire il trasferimento di superfici incongrue, principalmente localizzate all'interno degli isolati della città consolidata, in aree in grado di accogliere un incremento di superficie o in aree libere destinate alla edificazione, ma edificabili solo in virtù del trasferimento (indice 0)».
Ed è, quello delle perequazioni, un ambito di politica urbanistica tuttora controverso, nel senso che (anche a causa della natura sperimentale delle applicazioni che ha ricevuto in varie realtà del Belpaese) ancora non sono ben chiare - tra le altre cose - le effettive conseguenze che esso può avere riguardo agli obiettivi di sostenibilità sociale e all'indice determinante di sostenibilità ambientale rappresentato dal consumo di suolo.
Per un approfondimento, abbiamo contattato Enrico Falqui (Nella foto), professore associato presso il dipartimento di Urbanistica e pianificazione del territorio dell'università di Firenze.
Secondo Falqui, «occorre anzitutto capire quale, delle diverse praticabili, è la tipologia di perequazione che il comune di Firenze intende perseguire. Da ciò che si può dedurre dal documento di avvio del Ps, sembra che la soluzione prescelta sia quella dello "scambio", con cui il Pubblico definisce un "piano degli ambiti di compensazione" e poi - semplificando - impone al privato di non costruire in una certa area ma gli garantisce diritti equipollenti all'interno degli ambiti definiti. Questo aspetto ancora non è chiaro».
Ma dal punto di vista strategico generale, e considerando la forte divergenza, in termini di qualità urbana, che sussiste tra le varie zone periferiche del capoluogo toscano, quella delle perequazioni è da considerarsi una linea praticabile, per lo sviluppo di Firenze?
«La risposta a questa domanda è problematica, nel senso che, come detto, va ancora capito quali saranno i sistemi perequativi definiti, e anche quali saranno gli ambiti di compensazione: inoltre, in questo senso, andrà visto - in questo "scambio" di volumetrie - come si distribuiranno le percentuali di spazio pubblico e spazio privato: e, a seconda di questo aspetto, la valutazione riguardo alle perequazioni può essere molto diversa.
Comunque, la perequazione di per sé è da considerarsi strumento in grado di attivare un circolo virtuoso: molte azioni di riqualificazioni compiute in questi anni in diverse città italiane (Milano, Torino, Genova, Roma, solo per citarne alcune) hanno applicato proprio questo principio, e la cosa ha funzionato. Quindi, in sé lo strumento non è "sbagliato": ma insisto, il comune indica un solo metodo di azione, mentre ce ne sono almeno cinque, applicabili e già applicati in altre realtà.
La domanda, quindi, è: sarà il solo praticato, o ce ne saranno altri? E credo che la risposta la avremo solo quando vedremo le Norme tecniche di attuazione (Nta) del Piano strutturale: come noto, infatti, in realtà il Ps è definito dalle indicazioni sul "riempimento" dei contenuti delle Unità territoriali omogenee elementari (Utoe) e dalle norme che definiscono il Regolamento urbanistico, mentre dal piano in sé si possono vedere solo le intenzioni. Ora andrà vista la sostanza, e va ricordato anche che se il Ps non sarà approvato entro luglio si va al blocco urbanistico ed edilizio, anche a livello di dettaglio».
A questo proposito, secondo quanto emerso ieri in seguito all'audizione del tecnico responsabile comunale all'urbanistica Fanfani, l'approvazione definitiva del Ps non dovrebbe compiersi prima dell'autunno, mentre il regime di salvaguardia scatta a fine luglio.
«Si, questo si sapeva, e porterà ad un ulteriore ritardo nel già lungo iter di approvazione del piano. Credo che ci rimetta sia in primo luogo Firenze stessa, perché le sue prospettive di riqualificazione urbanistica vengono ulteriormente dilazionate nel tempo».
Al di là di questo, non sussiste il rischio - pur davanti alla definizione preventiva degli eventuali ambiti di compensazione - che l'amministrazione abbia così eccessivamente le "mani libere" rispetto alla pianificazione preventiva effettuata? E non sussiste il pericolo di saltare dalla padella alla brace, nel senso di frenare l'eccesso di densificazione urbana, ma di giungere a questo giusto obiettivo attraverso però un rilancio del consumo di suolo nelle aree periferiche?
«Beh, non mi sento di fare analisi dietrologiche: di regola le perequazioni sono attuate per salvaguardare l'interesse pubblico e con l'obiettivo di un miglioramento della qualità urbana. Poi vanno viste le intenzioni, e i dettagli, ma comunque lo strumento, quando è stato applicato nelle realtà urbane citate per grandi operazioni urbanistiche, ha funzionato, in termini di qualità della trasformazione.
Il problema di Firenze è che è rimasta indietro, da questo punto di vista, e questo spesso non viene capito sufficientemente dagli amministratori: il ruolo delle città è oggi molto diverso rispetto al passato, quindi (parlando in linea di principio) chi ritarda queste necessarie trasformazioni verrà giudicato in primo luogo dal declino della città. Ad esempio, in un contesto come questo non possiamo stupirci se poi, per le grandi operazioni urbanistiche, le risorse economiche che girano non sono del tutto "pulite". Se, invece, c'è una strategia urbanistica, e ci sono i piani di indirizzo e quelli applicativi, alla qualità della pianificazione corrisponde anche una "qualità" delle risorse economiche investite.
Ciò che va compreso, in ultima analisi, è che oggi lo spazio urbano (inteso come spazio dotato di funzioni qualificanti, che io definirei "generatrici di sostenibilità e qualità urbana") è il principale capitale culturale su cui si confrontano, su cui competono le città.
Ed è innegabile come la qualità urbana di Firenze sia in declino, e se si continua ad attardarci su dibattiti ottocenteschi relativi a questioni ideologiche, poi non ci si stupisca di questo ruolo declinante che Firenze, in questa fase, svolge. La riflessione andrebbe invece spostata sul modo di affrontare le urgenze, e di agire per affrontarle tenendo presente le esigenze di ottenimento del consenso e di velocità dell'azione.
In questo senso, io credo che con più partecipazione civica, e con più trasparenza nelle procedure, si velocizzano le decisioni, mentre molti amministratori ritengono che le pratiche partecipative e la trasparenza acuiscano i conflitti, e quindi portino ad ulteriori ritardi. Ma se le pratiche partecipative sono di matrice inclusiva (e non meramente "consultiva" come spesso viene invece fatto) le decisioni, invece di rallentarsi, divengono più rapide».