
[29/09/2010] News
SIENA. Il 18 ottobre prossimo si aprirà a Nagoya, in Giappone, la decima Conferenza Internazionale sulla Biodiversità, alla quale parteciperanno 190 stati del mondo. Un'occasione importante perché la biodiversità è una delle gambe su cui si tiene la sostenibilità. Al professor Marcello Buiatti chiediamo quindi di aiutarci a spiegare l'irrinunciabile valore della biodiversità: perché la sua tutela è di vitale importanza?
«Tutti noi viviamo e ci adattiamo al mondo esterno grazie alla naturale variabilità che ci caratterizza in quanto organismi viventi. La ricchezza intrinseca del nostro corredo genetico, di quello di ogni animale, piante e microrganismi terrestri e non, si fonda proprio su questo enorme potenziale di "modulazione" delle nostre risorse geniche. Queste ci permettono di adeguarci ai naturali cambiamenti dei nostri ambienti di vita. Variabilità è la nostra "possibilità" di sopravvivere. Inoltre la variabilità si fonda su interconnessioni continue tra viventi: facciamo tutti parte di un'immensa catena trofica, e alcuni anelli di questo sono di particolare importanza. Pensiamo alla foresta amazzonica: un solo albero ospita circa 190 specie viventi, in più ogni albero risulta collegato con ogni altra pianta della foresta attraverso una rete di micelio, chiamata dagli studiosi wood wild web, che trasmette informazioni preziose: in caso di incendio la rete "comunica" agli alberi di chiudere gli stomi, ad esempio. Ogni essere vive per una complessa serie di adattamenti in relazione con gli altri viventi, frutto di un lento processo di "co-evoluzione" che vede nella collaborazione reciproca un punto di forza. Anche noi condividiamo questa ricchezza: dentro abbiamo un chilo di batteri, se fossimo sterili non avremmo certo la possibilità di sopravvivere. Non siamo esseri unici ma superorganismi: come ecosistemi complessi siamo composti da una molteplicità di specie, sulla pelle, nello stomaco, nell'intestino. Il cibo ci trasmette questa ricchezza, ed anche le piante e gli altri animali sopravvivono solo se condividono il proprio patrimonio genetico con gli altri, secondo il contesto».
Dunque ogni nostra attività è permeata dalla ricchezza ecosistemica?
«Certo. Le nostre economie sono essenzialmente legate dalle risorse del pianeta, alle sue condizioni. Il petrolio è il prodotto di metabolismi ecosistemici antichissimi, attivati dall'energia solare. Se il sole fosse oscurato da nuvole non potremmo accedere alla sua energia. Tutto testimonia l'estrema necessità dei servizi ecosistemici».
A Nagoya ci si interrogherà sulle conseguenze ecosistemiche della migrazione transfrontaliera degli Ogm. Cosa ne pensa?
«La migrazione transfrontaliera è un falso problema. Di fatto gli Ogm sono pochissime specie (mais, soia, colza, cotone). E sono piante deboli, bisognose di concimi per sopravvivere, perché non sono dotate della naturale adattabilità, spesso sterili alla generazione successiva per garantire la compravendita dei brevetti delle multinazionali. Il rischio reale dunque è la pratica di coltura Ogm, fondata sul disboscamento e sullo sfruttamento intensivo dei terreni».
Per quest'anno in particolare a Nagoya ci si confronterà con "responsabilità e riparo del danno" subito. Quali sono le sue impressioni rispetto all'agenda?
«Finora l'efficacia dei provvedimenti proposti è stata totalmente nulla. Mancano gli attori economici e produttivi delle realtà nazionali. Gli atti delle Convenzioni non hanno la capacità di creare vincoli normativi che possano indirizzare le produzioni nazionali. Fa sorridere parlare del concetto di responsabilità e danno: gli attori dei danni subiti dal pianeta non hanno neanche il senso della realtà! Eppure la velocità con cui perdiamo specie viventi e con cui avvertiamo il cambiamento climatico è vorticosa. Stiamo uccidendo noi stessi e le nostre economie, altro che co-evoluzione. Ci sono piccoli movimenti, è vero, relativi alla creazione stessa di un'opinione e di una coscienza che promuovono un cambiamento. Ma non basta: deve incidere a livello normativo e produttivo».