
[01/10/2010] News
LIVORNO. Ieri il segretario agli interni Usa, Ken Salazar, ha emanato le nuove norme sulle perforazioni offshore che disciplinano gli interventi di emergenza e le misure di sicurezza in caso di sversamenti. Athan Manuel, di Sierra Club, ha detto che «E' un sollievo vedere il Dipartimento degli interni incrementare i controlli delle perforazioni offshore. Questi regolamenti erano attesi da lungo tempo. Per troppi anni, all'industria petrolifera è stato consentito di mettere i suoi profitti davanti alla sicurezza dei lavoratori e alla salute dei nostri oceani e della gente che fa affidamento su di loro. Queste norme, tuttavia, non risolvono il problema più grande. Ovunque vi sia perforazione offshore, ci saranno fuoriuscite di petrolio, esplosioni, rotture di pipeline e altri disastri. Non si può nascondere il fatto che il petrolio è sporco e pericoloso. L'unico modo per proteggere veramente i nostri oceani e il nostro livello di vita è quello di porre fine alla dipendenza dal petrolio. Invece di cercare i modi per trivellare sempre più petrolio, dobbiamo investire nelle soluzioni energetiche come il solare e l'eolico e su un sistema di trasporti per il XXI secolo. Queste soluzioni creeranno posti di lavoro e manterranno sani i nostri oceani e le nostre comunità. Ci complimentiamo con il segretario Salazar per aver tenuto duro sulla moratoria per le perforazioni offshore. Ringraziamo il Segretario per aver riconosciuto che disastro petrolifero della Bp rappresenta un punto di svolta per perseguire aggressivamente verso un futuro fatto di energia pulita e rinnovabile per il nostro Paese».
Un'altra associazione ambientalista, Greenpeace, è meno tenera con il governo statunitense. La sua nave ammiraglia, l'Arctic Sunrise, dopo 11 giorni di ricerche è tornata a Galveston, in Texas, per analizzare i dati raccolti da un team di 4 scienziati indipendenti, guidato da Rainer Amon (Nella foto) e che comprende Cliff Nunnally, Sally Walker e Chuck Folden, che ha cercato il petrolio "scomparso" nel Golfo. I risultati sembrano meno confortanti e consolanti di quelli resi noti dall'amministrazione Obama e dalla Bp.
Secondo Rainer, «C'è una chiara indicazione di una carenza di ossigeno nelle acque del Golfo, in una zona che va dal sito del disastro della Deepwater Horizon fino a 300 miglia ad ovest. Il "pennacchio" infame esiste ancora, forse non è visibile, ma è essenzialmente ancora lì. Questa carenza di ossigeno ci dice che una certa quantità di petrolio e gas rilasciati durante il disastro è stato consumato da batteri in acqua. I batteri hanno bisogno di ossigeno per metabolizzare le sostanze petrolchimiche, così, molto semplicemente, minore è la quantità di ossigeno, maggiore è la quantità di petrolio che è stata consumata. Tuttavia, e qui è il punto davvero interessante, le osservazioni di altri scienziati hanno dimostrato che i livelli di ossigeno disciolto nel Golfo non sono sufficientemente bassi per suggerire che una maggiore quantità del petrolio e del gas fuoriuscito dalla testata del pozzo Macondo sia stato consumato dai batteri. Invece, il governo e la Bp vorrebbe far credere a tutti che il petrolio sversato è magicamente scomparso, tutti e tre o quattro milioni di barili. Allora, dove è finito tutto questo?».
Diversi scienziati si sono chiesti se il petrolio "fantasma" fosse finito sul fondo del golfo, ed è lì che lo è andato a cercare Cliff Nunnally: «Lo scorso weekend abbiamo tirato un sacco di fango sul ponte della nave, ogni volta, un 2 piedi (60 cm) di spessore, da 4000 ft (1.300 m) sotto la Arctic Sunrise, a pochi chilometri di distanza dal cluster di piattaforme e navi che ora occupano la zona del disastro - dice lo scienziato - Mi limiterò a dire questo: c'era sicuramente petrolio in alcuni dei campioni prelevati sul fondale del Golfo, si vedeva e se ne sentiva l'odore. Anche se questo non sorprende, dato che eravamo vicino al luogo del disastro». Amon spiega che «Questi campioni, confrontati con i campioni di riferimento raccolti dal Golfo nel corso degli anni, diranno a Cliff e dai suoi colleghi come il " benthos ", l'ecosistema del sedimento, ha reagito ad un grande afflusso di petrolio».
Greenpeace Usa sottolinea: «Speriamo che tutto questo lavoro, e le carte che saranno prodotte da Rainer e Cliff non solo aggiungeranno più conoscenze su questo tema, ma aiuteranno anche a contrastare le pretese sia della Bp che del governo che la "marea nera è finita "».
Le ultime osservazioni dell'Arctcic Sunrise sembrano corroborare la testimonianza che il biologo oceanografio Ian MacDonald ha reso davanti alla Oil commission del Parlamento Usa a Washington.
«Mentre una parte del petrolio è stata dispersa, evaporata, bruciata o "stimme" - ha spiegato MacDonald - oltre il 50% dello sversamento totale è un materiale altamente durevole che resiste ad un'ulteriore dispersione». Secondo MacDonald ci sarebbero almeno 2,5 milioni di barili di petrolio dispersi nell'ecosistema del Golfo e «Gran parte è ora sepolto nei sedimenti marini e costieri. Ci sono scarse prove di una degradazione batterica di questo materiale prima della sua "sepoltura"».
Anche Samantha Joye , dell'University of George, ha trovato petrolio nei sedimenti del Golfo e spiega: «La marea nera (in realtà non uno "spill" ma un "rilascio" di petrolio nelle profondità del mare) non è "over". La comunità scientifica lo sa, la gente della regione del Golfo lo sa, e lo sanno anche i team di pulizia che sono ancora sulla costa a raccogliere "tarball". Sta a tutti noi di continuare a spingere perché ci dicano la verità e tenere la Bp e il governo sotto pressione perché ripuliscano tutto. E mentre fanno questo, dovrebbe anche proseguire la moratoria sulle trivellazioni in acque profonde!»